22 Aprile 2019, 06:30
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Ma chissenefrega di Decathlon! È solo un altro colosso, che approderà in città muovendosi come un elefante tra quei piccoli e fragilissimi vasi di cristallo che sono i commercianti palermitani.
Tutti a scandalizzarsi per le lungaggini (certo, scandalose) degli uffici comunali al cospetto del gigante con le scarpe da tennis. E chi si scandalizza per la situazione in cui vive il commercio palermitano, se non gli stessi commercianti? Tutti si chiedono come mai Decathlon ancora non apra i battenti, tutti che aspettano la Dea IKEA che venga dalla Scandinavia a farci signori. Nessuno si chiede perché Palermo stia diventando un camposanto desolato di saracinesche abbassate e Affittasi ingialliti. Nessuno sembra accorgersene. Eppure è così: le attività chiudono, la disoccupazione aumenta, il valore di quegli immobili scende, Palermo è sempre più povera.
Ma non è colpa dei colossi, di cui, in realtà, una città metropolitana che vuol essere all’avanguardia del mercato non può fare a meno. È colpa di chi non ha mai colpe, di una politica che, ad ogni latitudine e longitudine, ciarla del nulla e non si occupa del quotidiano, se non a parole infarcite di massimi sistemi e a massime sistematicamente sloganate. La grande distribuzione non ha generato, da sola, questa grande depressione, le ha semplicemente dato un’accelerata; ha sic et simpliciter trovato sulla sua strada minuscoli insetti facili da schiacciare, perché lasciati soli, abbandonati al loro triste destino di anonimi esserini, che popolano la città in ogni suo anfratto, morendo e riproducendosi con rapida ciclicità e massima indifferenza.
Peccato però che quegli insetti sono famiglie, migliaia di famiglie palermitane che di commercio e col commercio ci tirano a campare, se ancora riescono ad alzare le saracinesche di cui sopra. Peccato che quegli esserini sono spesso giovani senza lavoro che magari un lavoro se lo creano da sé, incapaci, come sono, di aspettare il posto dalla politica dei posti, indisponibili, come sono, a partire alla volta della Londra che non c’è più. Peccato che nessuno si preoccupi di loro, anzi.
Lo Stato, affamato, li fagocita rigurgitando tasse e burocrazia. E dove non arriva la canaglia, ci pensa il Comune tenaglia: la Tari li annienta, la Tosap li schianta e chi vuol mettere una cacchio d’insegna deve pagare. E poi c’è lo Sportello unIco (nel suo genere) e l’Edilizia privata (d’ogni ragionevolezza); e la Camera di commercio e l’Enel, le banche, i consulenti, i controlli, i pagamenti … Se cambia un senso di marcia, perché a qualcuno è piaciuto così, o se una strada viene chiusa, per lavori che dovevano durare poco (dovevano!), buonanotte ai suonatori e cala la serranda. I marciapiedi attigui tutti divelti, un palo della luce che lascia al buio la zona si trova sempre, mentre le radici degli alberi fuoriescono in diramazioni fantasiose su cui s’inciampa un giorno sì e l’altro pure. Uno di questi giorni arrivò pure la Ztl e una nube di DDT fece strage d’insetti, che stramazzavano al suolo gridando inascoltati la propria disperazione. E come se tutto questo non bastasse, la gente ci mette il suo, quando aspetta il Sabato e la Domenica per invadere, come locuste, i centri commerciali e fare scorta per tutta la settimana.
Mentre gli esserini stanno lì, nella loro quotidiana incertezza se vivere o morire, se aprire o chiudere, se continuare o fallire. È la vita dei nostri bottegai, dei negozianti, quelli che prima chiamavamo “putiari” senza vergogna né dileggio, quelli che oggi si fan chiamare “piccoli imprenditori”, forse proprio per sentirsi meno piccoli e meno soli. È la vita dei veri giganti di questa città, che la mattina si alzano per conquistare un pezzo di pane ed assicurare un giorno in più alle loro case; che ogni giorno contrastano con le grandi casate dai marchi importanti e con l’insipienza di una casa Comune dove si sentono sempre meno padroni e sempre più ospiti. Indesiderati.
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22 Aprile 2019, 06:30