29 Maggio 2018, 20:56
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PALERMO – A pensarci bene, visto l’andazzo generale, di legge di buon senso bisognerebbe approvarne solo una. Quella cioè che riduce l’attività legislativa dell’Ars solo all’esame e all’approvazione della Finanziaria. Poi, per i tanti mesi che separano una manovra dall’altra, si ordini il “liberi tutti”. Ognuno torni pure nel suo collegio elettorale, nel proprio “territorio”, dentro la propria segreteria a preparare le future elezioni o a irrigare il proprio consenso.
Solo le Finanziarie. Due mesi di lavoro e via. In un Palazzo che a quel punto si potrebbe dedicare interamente a mostre e vernissage. Stando così le cose, insomma, meglio non provare nemmeno a fare qualcosa in più rispetto alle manovre. Oggi, ad esempio, lo stop del Collegato che conteneva tra le altre cose, l’accorpamento di Ircac e Crias e la tanto attesa “chiusura” degli Iacp, sarebbe dovuto a motivi diversi e alla fine coincidenti. Alcuni “strutturali” altri contingenti.
Il primo: i numeri. Storia vecchia per un governo che si ritrova senza una maggioranza numerica e che oggi poteva contare su un deputato solo in più rispetto alle opposizioni. Insomma, sarebbero bastati un franco tiratore, un fumatore accanito o una improvvisa necessità fisiologica a far crollare una di quelle importanti norme.
Il secondo motivo sta proprio nelle stesse norme: nella maggioranza in tanti sono contrari alla chiusura dell’Esa, già in tempi non sospetti auspicata da Musumeci. Una opposizione dentro la maggioranza, insomma, che non sarebbe stata accontentata nemmeno da una riscrittura meno “definitiva” dell’esecutivo.
Terzo motivo: incombono le elezioni amministrative, ma anche le nomine nelle società partecipate. Il governatore ha fatto sapere che se ne parlerà dopo le Comunali, ma qualcuno dentro la maggioranza avrebbe messo sul piatto delle nomine proprio l’approvazione del Collegato.
E così, ogni motivo è buono per stare fermi, tra una Finanziaria e l’altra. Sarebbe quella, appunto, l’unica legge da fare. Visto e considerato il fatto che, tanto, di altre leggi non c’è ombra. Di riforme nemmeno l’odore. Di notizie – lo diciamo a malincuore – poco o nulla.
E non c’entra affatto il confronto col “prima”. Quando, cioè, ogni gita in Procura dell’ex governatore era accompagnata dalla fanfara, ne’ quando un atto amministrativo o un mascariamento istituzionale meritava lunghe e faticose conferenze stampa che iniziavano puntualmente in ritardo. Ne’ quando, per carità, l’Aula si riuniva per “sbagliare”, spesso e volentieri, i provvedimenti legislativi inesorabilmente impugnati e poi si ritrovava per riapprovare quegli stessi provvedimenti dopo le correzioni imposte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Qui però siamo all’altra estremità. L’Assemblea regionale siciliana, quella dalla pancia e dal vertice della quale si lanciano orgogliose crociate nei confronti del “primato della politica” e si difendono stipendi che cozzano spesso con quelli della vita reale, dove si affermano allo stesso tempo la schiavitù della cravatta e la libertà della marchetta, ecco quell’Ars non fa davvero nulla. Ma proprio nulla.
E adesso non reggono più di tanto i richiami al fresco insediamento dei parlamentari, all’emergenza ereditata (anche da qualcuno di quelli che oggi siede tra i banchi di governo e maggioranza, tanto per essere precisi), non reggono nemmeno i richiami alla prudenza. Dopo sette mesi l’Ars ha esitato – se escludiamo per carità di patria delle leggine che non cambieranno in nulla la vita dei siciliani nel loro complesso – di fatto un esercizio provvisorio e una legge di stabilità. Una legge, quest’ultima, tra l’altro, svuotata del tuorlo delle riforme e infarcita di regalini, carezzine, bandierine, caramelle e canditi per i sempre importantissimi “territori” (vai a capire poi se una riforma di settore importante come quella dei rifiuti o dell’acqua o della Formazione fa meno bene a un ‘territorio’ di quanto possa fare il finanziamento di una rally automobilistico).
E così, anche oggi l’Ars che pretende rispetto, ha aperto e chiuso i battenti in un batter di mani. Niente collegato. Si è tolto di mezzo anche quello. Facendo sparire, con quello, ciò che resta della Finanziaria che il governo aveva esitato da Palazzo d’Orleans e che appariva certamente assai più sensata e organica del lacerto di contributi e provvedimenti uscito fuori dai banconi di Palazzo dei Normanni. Tutto rimandato, quindi. Quando l’Ars si riunirà non certo per legiferare, ma per una seduta solenne con i rappresentanti della Repubblica di Malta. E per carità, noblesse oblige. Ma ogni tanto, si approvi pure qualcosa di concreto. Si dia qualcosa da scrivere. Si dia un senso a Sala d’Ercole. Oppure si approvi l’unica legge che abbia un senso: si lavori per due mesi l’anno, solo per la Finanziaria. Poi liberi tutti.
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29 Maggio 2018, 20:56