L’asse Graviano-Cappello, D’Aquino: |”Soppiantare i Santapaola”

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24 Marzo 2014, 06:00

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CATANIA – Gaetano D’Aquino torna sul banco degli interrogatori per il processo Revenge 3. Questa volta è il turno della difesa ascoltare il collaboratore di giustizia che con le sue dichiarazioni negli ultimi anni ha gettato ombre sulla credibilità di numerosi politici e colletti bianchi catanesi. Vertice dei Carateddi, conosciuto dai diversi clan della criminalità organizzata di Catania come “u figlioccio di Salvatore Cappello”, Gaetano D’Aquino ha affrontato il controesame degli avvocati chiamati ad assistere Biagio Sciuto e Girolamo Ragonese accusati dell’omicidio di Sebastiano Fichera e Raimondo Maugeri.

Si ricostruiscono i rapporti tra D’Aquino e Biagio Sciuto, cercando di definire i mesi antecedenti all’omicidio Fichera e le “riunioni” che si succedettero al delitto anche per pianificare come “vendicare” il sangue di Iannuzzu. E in questo incalzare di domande il pentito dei Carateddi, rispondendo al Presidente della Corte d’Assise Rosario Cuteri, ripercorre una pagina della storia della mafia siciliana che parla di relazioni tra Catania e Palermo, con il progetto di “accreditare” il Clan Cappello nella cupola palermitana.. Un “battesimo” che fino ad oggi era toccato solo ai Santapaola, tanto da poterla “appellare” cosa nostra catanese. E non solo il “privilegio” di entrare dentro la famiglia, ma addirittura  i “palermitani” avrebbero guidato il boss Lo Giudice “in quell’idea di sterminare i Santapaola, indirizzandolo nelle teste giuste da colpire”. A fare da “padrini” ai Cappello sarebbero stati i fratelli Graviano.

E nel racconto di D’Aquino ci sono nomi del terrore catanese: Nuccio Mazzei, Enzo Aiello, Santo La Causa e Pippo Ercolano. Tutti personaggi da “eliminare” per prendere il controllo delle piazze di spaccio più ricche. “Nuccio Mazzei – dichiara il collaboratore – diciamo che doveva essere ucciso per quanto rientrava nei progetti sia del Lo Giudice che poi più in là di tutta l’organizzazione Mattiddina-Strano, perché si doveva uccidere Mazzei, si doveva uccidere Salvatore Amato per accaparrarsi la piazza della droga di via Della Concordia e rilevare un elemento del clan Santapaola di via Della Concordia. Si doveva uccidere Enzo Aiello, si doveva uccidere Santo La Causa. Per lui era Franco Crisafulli che era fissato, anche se io gli dicevo “È latitante, non lo beccherai mai”. Si doveva uccidere Peppe Ercolano – aggiunge – perché Franco Crisafulli voleva far fare la stessa fine del genero a Pippo Ercolano”.

E in questo progetto di “sterminio” i Cappello avrebbero dovuto sedere al tavolo degli uomini d’onore di Palermo al posto della famiglia di “Nitto”. “In carcere – afferma alla Corte D’Aquino – si è iniziato a parlare di entrare nella famiglia di Cosa Nostra per volontà dei fratelli Graviano, Pippo Squillaci diceva – spiega il collaboratore – che si dovevano uccidere cinque personaggi, tra i quali Pippo Ercolano, del clan Santapaola. Lui diceva – dichiara l’ex reggente dei Carateddi – “I capi non su né Santo La Causa né Enzo Aiello. Voi i veri capi nemmeno li conoscete. Poi ve lo dirò io”. In pratica diciamo – spiega – quello è un progetto che la famiglia Cappello, diciamo il clan Cappello per volontà di Cicco La Rocca e dei fratelli Graviano stava diventando componente organico a pieno titolo di Cosa Nostra Palermitana, infatti si parlava – aggiunge –  che doveva essere soppiantata la famiglia Santapaola”.

La storia poi cambierà. I Santapaola non saranno soppiantati. A D’Aquino lo avverte Mario Strano attraverso una lettera “dove mi diceva – racconta nel corso dell’udienza – che i progetti vecchi si dovevano portare avanti, però i personaggi che praticamente erano stati prima indicati come da soppiantare si dovevano rispettare lo stesso perché erano vecchi, e le cose erano un poco cambiate”. Qualcuno, dall’alto della Cupola, aveva dato ordini precisi.

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24 Marzo 2014, 06:00

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