10 Maggio 2022, 09:29
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Quando Diego Cammarata ha saputo della revoca della condanna per la storia dello skipper a bordo della sua barca ha parlato di “genialità del mio avvocato”. L’avvocato è Fabrizio Lanzarone, che ha difeso il sindaco assieme a Giovanni Rizzuti.
Innanzitutto mette da parte i complimenti: “Richiamo a me stesso l’insegnamento di San Macario il Grande: ‘Non far conto né dell’ingiuria né della lode degli uomini, come i morti; e potrai salvarti’.
Cosa vi siete detti quando è stata pronunciata l’assoluzione? “L’avvocato Cammarata, presente a tutte le udienze, celebratesi fortunatamente in assenza di clamore mediatico, non ha potuto partecipare, con grande rammarico, a quella finale. Gli ho comunicato l’esito telefonicamente; era – come facilmente intuibile, vista la gogna subita per numerosi anni – profondamente emozionato e il resto rimane tra me e lui”.
Lanzarone si addentra negli aspetti tecnici. “Anzi tutto, vorrei ricordare, nella nuova ampia istruttoria compiuta, il prezioso e autorevole contributo offerto, nella materia giuslavoristica involta dalla vicenda, dal professore Massimiliano Marinelli e, sotto il profilo tecnico-informatico, sulla ricostruzione storica delle buste paga del dipendente, dall’ingegnere Giuseppe Mirelli. La revisione è impugnazione straordinaria e tale deve rimanere. Detto questo, mi lasci pure annotare che il meccanismo della cosiddetta ‘doppia conforme’, così come applicato, unitamente all’innalzamento della soglia dell’inammissibilità dei ricorsi per cassazione, distorce – nella sostanza – la garanzia dei tre gradi di giudizio ordinari”.
“Un illustre studioso che si occupa della materia ha scritto che tra le peggiori sventure che, malauguratamente, possano colpire e affliggere l’esistenza di una persona, vi è l’errore giudiziario che abbia determinato un’ingiusta condanna penale – aggiunge -. Ma la parte più interessante della sua riflessione è che, accanto all’incommensurabile danno che il soggetto innocente patisce sul piano materiale e morale (il riferimento più immediato è alla sfera intima della dignità personale, degli affetti del patrimonio relazionale di una persona e così via), se ne pone un altro, scarsamente considerato. E’ il vulnus che viene inferto all’intero ordinamento giuridico e, par ricochet, a tutto il consorzio sociale: in tal senso, l’inflizione di una ingiusta condanna si atteggia a pubblica sciagura che scuote in apicibus, fin nelle fondamenta il favor innocentiae, che è il cardine di ogni società che pretenda di definirsi civile.
Il legale ha ben chiaro cosa connoti la misura della civiltà di un Paese: “La vera cartina di tornasole è data dal grado di libertà che, nella società, si riesce a garantire a ciascuna persona, senza distinzioni.
Una questione complessa. L’utilizzo, nella soluzione dei problemi, non già del famoso rasoio di Occam, ma dell’accetta. E’ un processo che dura da tempo, e i mezzi di comunicazione di massa, al di là del tema dell’incapacità di analisi, di serio approfondimento e di contestualizzazione dei fenomeni; dell’inclinazione alla narrazione e rappresentazione sganciata dalla realtà effettuale; della perniciosa tendenza al pre-confezionamento di pseudo verità, al recepimento acritico delle stesse, alla censura difensiva (indice di paura), a marchiare ed etichettare in maniera denigratoria le opinioni dissenzienti rispetto al pensiero dominante (o a quello che artatamente si ammannisce come tale) e al di là del problema della faziosità esercitata in svariate forme, attive e omissive, hanno una grossa responsabilità lungo questo crinale: mi pare che la società, nel suo complesso considerata, sia sempre più proclive a fornire risposte semplici a problemi complessi, muovendosi su una logica binaria, ahimè propria dell’intelligenza artificiale cui ci siamo piegati, con acconci schemi superficiali improntati al manicheismo (buono/i cattivo/i). Si perdono, così, non solo le sfumature, ma la sostanza dei problemi e, dunque, la possibilità di superarli veramente”.
Il ragionamento torna al caso specifico di Cammarata: “Posso dire che quando la Giustizia sa riconoscere i propri torti, rovesciando – di fatto – la pietra tombale del giudicato (che, secondo i noti brocardi, facit de albo nigrum e pro veritate habetur), consente mirabilmente il recupero di quella che uno dei nostri padri della Costituzione, tanto citato quanto inascoltato (Calamandrei), definiva ‘fede nel diritto’. E questa è un’immagine di fiducia e speranza. La sentenza ci dice pure che il sistema penale, pur malandato e con infinite pecche (che si tenta di rattoppare con interventi random contraddittori, a macchia di leopardo e senza alcuna visione d’insieme) miracolosamente regge. E regge grazie alla presenza di uomini e donne di buona volontà che hanno insita l’educazione, la sensibilità e la cultura proprie della giurisdizione, che conoscono il profondo significato della coltivazione del dubbio e sono capaci di esaminare le ragioni contrapposte, traendo una sintesi lucida, autonoma e indipendente. Un modo di essere che, seppur la macchina del sistema tenta di travolgere, sa emergere in tutta la sua fierezza”.
Si torna sempre alla necessità di riforme nel settore giustizia: “Sì. Ma culturali. Sono la pre- condizione indispensabile. Investire sugli uomini, nella giustizia, così come nella sanità e nella scuola, i cardini, cioè, del sistema civile, ma non coi guanti dell’economista, ancorandosi al mito o, se vuole, alle sirene dell’efficienza e di un fideistico soluzionismo di stampo tecnologico o, peggio, tecnocratico; o, ancora, ad approcci ideologici e a fascinosi programmi e progetti ipocriti, all’insegna di parole roboanti che nessuno comprende, meglio ancora se in inglese (il nostro provincialismo è a tutti noto), e che – in realtà – si stagliano alla stregua di simulacri vuoti (mai come oggi il globalitarismo ha mostrato i suoi piedi d’argilla). Investire sul pensiero autenticamente liberale in cui si ridia spazio alla logica, si ricostruisca un pensiero che non abbia un fondamento liquido, si ritorni ai classici, si elimini un bel po’ di insulsa paccottiglia nei vari campi del sapere e si impari, davvero, ad ascoltare le ragioni degli altri, nella consapevolezza che il confronto, quando non sterile, non è una perdita di tempo, ma un guadagno. Ma siamo disposti a farlo? Quella che, purtroppo, pare più di un’impressione è che si proceda – meccanicamente – verso altre inutili, se non nefaste, direzioni”.
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10 Maggio 2022, 09:29