Il latitante si rilassava al mare| Con l’aiuto del signore delle cave

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29 Giugno 2016, 13:04

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PALERMO – Carmelo Marotta è uno che la mafia la conosce da vicino. Innanzitutto è figlio di Pietro, ammazzato nel maggio del 1984,  braccio destro di Carmelo Colletti, rappresentante provinciale di Cosa Nostra agrigentina negli anni Ottanta. Colletti fu tolto di mezzo perché si era messo in tasca i soldi delle cosche. Temevano la reazione di Pietro Marotta e si sbarazzarono anche di lui.

Il figlio Carmelo, titolare delle imprese edili Edilmar e Sagid con importanti cave a Sciacca e Ribera, è stato uno dei più fidati uomini di Giuseppe Falsone. Condannato con sentenza definitiva per avere favorito la latitanza del boss, ha rischiato una pena più pesante per mafia. L’accusa di avere fatto parte di Cosa nostra, però, non resse al vaglio dei giudici d’appello.

I finanzieri del Gico della Polizia tributaria di Palermo hanno fatto le pulci ai suoi affari e stamani è scattato un sequestro da 22 milioni di euro. Un lavoro lungo e complicato quello di ricostruzione degli intrecci economici, divenuto l’ossatura del procedimento di prevenzione patrimoniale e personale.

Il pentito Calogero Rizzuto raccontava che per Marotta si erano scomodati i Capizzi di Ribera. Doveva comprare un negozio di materiale edile a Sciacca e si presentò con gli sponsor mafiosi. Gli stessi sponsor, Franco Capizzi e Giuseppe Falsone, che nel corso di una riunione rimproverarono Rizzuto per avere chiesto il pizzo a Marotta. “A chisto un s’avia a fare pagare, che era una cosa che appartinia a natri e un s’avia a fare pagare, dice perciò viri cu è che è”, avrebbe detto Falsone rivolgendosi a Rizzuto.

Alcuni anni dopo, il 25 giugno 2010, il giorno dell’arresto del latitante a Marsiglia, gli agenti delle squadre mobili di Palermo e Agrigento fecero perquisire il covo al civico 43 di Boulevard Notre Dame e scoprirono che Marotta aveva avuto un ruolo nella latitanza del capomafia agrigentino che, mentre gli davano la caccia, si rilassava al mare.

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In terra francese Marotta c’era stato pochi giorni prima del blitz. E per evitare di dare nell’occhio si era imbarcato sulla nave da crociera della Costa che nel suo tour attraverso il Mediterraneo fa tappa anche a Marsiglia. Marotta, inoltre, il 14 e 15 agosto 2008, aveva utilizzato due camere dell’albergo New hotel Marseille in località Le Pharo. Tra i documenti sequestrati a Falsone c’erano una patente, la copia del cedolino di uno stipendio, uno stato di famiglia e un certificato di residenza nel Comune di Caltabellotta. Tutti intestati a Mario Pino Schittone. Ed ancora, un bloc notes con copertina di colore arancio. Su un foglio si leggeva la parola Maluppila seguita da un numero di telefono. Schittone, estraneo alla vicenda (di cui era addirittura all’oscuro), era dipendente della società Edilmar di Marotta.

Marotta aveva usato i suoi documenti di lavoro per dare una nuova identità a Falsone. Maluppila è il soprannome di Marotta a cui era riconducibile il numero di telefono scritto sul biglietto. Qualche ora dopo l’arresto di Falsone, l’ufficio di Marotta fu perquisito. Vi trovarono una pen drive che conteneva riferimenti ad appartamenti da affittare a Marsiglia, pagine web su cosa fare per il cambio di generalità; offerte e promozioni per l’acquisto di falsi documenti, modalità di accesso a paradisi fiscali, mappe della città francese e i risultati di una ricerca on line alla voce “SANFILIPPO Joseph”, un altro a cui era stata rubata l’identità. A Sanfilippo Frittola era intestato il documento che il latitante mostrò agli investigatori al momento dell’arresto.

Nella pen drive c’era anche l’applicazione Skype. L’ultimo nickname utilizzato era stato fabrisandre.andre, lo stesso trovato in un foglio nel covo di Falsone. L’ultimo documento fu estrapolato dalla memoria di un pc, tra quelli cancellati. Il testo non era completo: “…equilibrio con lo zi peppe, ma sento che ci vai a contrastare, e non mi piace.io ho grande stima per lo zi p’e8par da quello che mi mandi a direche non e chiaro per me, ma che posso interpretare, (argomento trapanese)par non lo capisco quello che mi mandi a dire ,posso interpretarlo,e non mi piace,interpeto che tu porti notiiziepar sulla mia persona fuori,e non è bene, ne per te, ne per me, ma soprattutto per te, interpreto molto male le cose par che mi mandi a dire,pars’e8 ai delle comunicazioni ufficiali che mi riguardano fammela di presenza,non mandarmelo a dire con chi delle nostre cose non c’entra.par sarò lì molto presto e parleremo dei presenza,e mi risponderai.distiti saluti.par…”. Il riferimento a Trapani sarebbe stato legato ai dissapori sorti fra Giuseppe Falsone e Matteo Messina Denaro sull’apertura di alcuni supermercati Despar.

Nuovi particolari della dorata latitanza di Falsone saltarono fuori dalla pen drive che c’era nel suo appartamento marsigliese. Una serie di fotografie. Piena estate. Una bella spiaggia dorata. E un uomo che si faceva fotografare in boxer. Scatti di vita quotidiana. La quotidianità di chi faceva finta di essere una persona normale e invece scappava da una condanna all’ergastolo. L’uomo che si godeva la vacanza, nel 2009, era proprio Falsone.

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29 Giugno 2016, 13:04

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