24 Maggio 2017, 05:48
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CATANIA – Il sistema di infiltrazione dei Laudani in alcuni settori economici del Nord Italia, come grande distribuzione alimentare e servizi di vigilanza, è completamente diverso da quello “utilizzato” da altri clan catanesi che hanno fatto diventare Milano il loro centro criminale. Come ad esempio i Cursoti Milanesi che si sono trasferiti in Lombardia e hanno sviluppato affari illeciti e macchiato le strade di sangue. Il “modus operandi” dei Mussi i Ficurinia svelato dalla brillante operazione “Security” della Dda di Milano si basa sulle relazioni personali di alcuni degli indagati con affiliati (interni) alla cosca catanese. Primo fra tutti Orazio Salvatore Di Mauro, Turi U Biondo per la malavita, che poi è stato sostituito da Enrico Urzì, definito dagli inquirenti il cassiere dell’organizzazione criminale, non appena è stato arrestato nel blitz Viceré.
Dicevamo contatti diretti con la famiglia Laudani. Turi U Biondo è sposato con Giovanna Scuderi, nipote del “patriarca” Sebastiano Laudani (classe 1926). Gli inquirenti milanesi – come si legge nelle oltre trecento pagine dell’ordinanza di custodia cautelare – seguono in diretta i suoi viaggi a Milano, uno avviene proprio il giorno prima della maxi retata che azzera la famiglia dei Mussi I Ficurinia, portando in carcere oltre 100 indagati tra affiliati e soldati.
E’ il 5 febbraio 2016. Di Mauro parla al telefono con Alessandro Fazio, imprenditore coinvolto nel ciclone giudiziario. Oggetto della conversazione “è il suo viaggio a Milano, programmato per il lunedi successivo (8 febbraio)”. Dalla telefonata emerge il programma di Turi U Biondo: l’accordo è quello di trascorrere insieme il 9 febbraio fino alla sera, quando Fazio lo accompagna in aeroporto. Di Mauro trascorre la notte all’Hotel Cosmo Palace a spese di Fazio, come “emerge dal messaggio in ingresso sul cellulare recante l’avviso di addebito dell’importo su carta di credito”.
Ad un certo punto i vari indagati e presunti “associati” del gruppo criminale decapitato dalla magistratura milanese si allarmano da quanto sta accadendo alle falde dell’Etna. I contatti da Fazio e Di Mauro, proprio alla vigilia dell’arresto potrebbero insospettire le forze dell’ordine. Una preoccupazione che emerge in diverse intercettazioni captate dagli inquirenti lombardi. Conversazioni che permettono anche di delineare il “peso” di un altro indagato e cioè Luigi Alecci, indicato dagli investigatori come uno dei “vertici” del sodalizio criminale. Ad un certo punto Giacomo Politi ed Emanuele Micelotti “concordavano – scrive il Gip Giulio Fanales – sulla necessità che Alecci Luigi usasse maggiore accortezza nel parlare a telefono, essendo l’unico della famiglia rimasto fuori dal carcere”. Chiaro, secondo gli inquirenti, il riferimento all’inchiesta catanese del 10 febbraio 2016.
Ma chi è Luigi Alecci? Lo stesso che in un’intercettazione afferma di “volere bene a Iannuzzu” (e cioè quel Sebastiano Laudani denominato Ianu Il grande, boss di primissimo piano all’interno della famiglia mafiosa). Nel 1985 l’indagato è condannato per omicidio doloso, armi e occultamento di cadavere. La sentenza dei giudici di Bologna diventa definitiva nel 1988. Per la magistratura emiliana il delitto era maturato “in ambienti di criminalità organizzata”.
Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare. Con gli arresti i Laudani hanno più che mai bisogno di liquidità, per mantenere le famiglie dei detenuti e per sostenere le spese legali. Ne sono consapevoli soprattutto Alecci e Politi che in un’intercettazione ambientale del 10 marzo 2016 prendono “atto della sopravvenuta carcerazione degli affiliati e concordavano circa l’urgente bisogno di denaro da parte dei familiari dei detenuti. I due ritenevano, dunque, necessario velocizzare l’invio del denaro in Sicilia”, scrive il Gip. Alla fine dello scorso anno (il 16 dicembre) Alecci dice a Politi che si sarebbe voluto recare in Sicilia, prima di Natale, per portare il denaro, da fare arrivare “ai poverini, così rinfrescavano”.
Gli incontri e le consegne delle “bustarelle” con il cassiere Borzì avvengono sempre negli stessi posti, principalmente nel mobilificio di Di Mauro e al Chiosco Mediterraneo di Acireale. Gli investigatori milanesi mettono due telecamere che immortalano “le consegne” nell’estate del 2016 e inchiodano gli indagati.
Ad un certo punto però, dopo il blitz Viceré, sorge un problema nella riscossione dei soldi da assicurare ai Laudani. Alessandro Fazio fa marcia indietro e non consegna più “la sua parte” da inviare ad Acireale. Una scelta forse legata alla “soffiata” sull’apertura dell’inchiesta da parte del procuratore aggiunto Ilda Boccassini proprio sul suo conto. Alecci, in un’intercettazione, fa i conti e mancano proprio i soldi di Fazio, ma garantisce che se “qualora in futuro Iano (Laudani Sebastiano, classe ”69) gli avesse chiesto conto dell’ulteriore denaro non corrisposto egli avrebbe riferito a costui il nome di chi si era sottratto al pagamento, per poi provvedere personalmente a convocare tale persona insolvente e chiederle spiegazioni al riguardo”. Fazio, emerge dalle indagini, avrebbe accumulato un debito di oltre 30 mila euro nei confronti dei Mussi i Ficurinia. In una recentissima intercettazione (siamo a marzo 2017) Alecci “si ripromette di dare luogo a una ritorsione, in futuro, nei confronti del Fazio”. Ma prima di qualsiasi reazione o punizione è arrivata la mano della giustizia. Per tutti e due.
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24 Maggio 2017, 05:48