17 Novembre 2017, 15:00
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PALERMO – “Si è portato nella tomba tutti i suoi segreti. E se ne vada in silenzio”. Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone e unico sopravvissuto della strage di Capaci, vorrebbe spegnere le luci sulla fine di Totò Riina. Da 25 anni si dedica al recupero della memoria, incontra gli studenti, porta in giro la sua testimonianza e il suo impegno civile. La notizia della morte del boss dei boss lo raggiunge a Bari. Ma sceglie di non commentarla perché, dice, “meno se ne parla meglio è”. La sua scelta del silenzio esprime in realtà il rifiuto sdegnato della storia criminale di Riina. “Cerchiamo di ridimensionare – dice – la figura di questo signore. Mettiamolo all’angolo. Non merita altro per quello che è stato e per quello che ha fatto. E se ne vada in silenzio”. Unico rammarico il fatto che si porta dietro i suoi segreti ingombranti, a partire da quello sulla strage di Capaci e sugli altri responsabili non ancora individuati. “Spero di apprendere altre verità su quanto accaduto quel giorno e di guardare in faccia chi ha fatto questo: non merita niente”, ha detto ai ragazzi che il 23 maggio hanno sfilato a Palermo nell’anniversario dell’attentato. “A qualcuno ha fatto paura la nomina di Falcone a procuratore nazionale antimafia”.
Giuseppe Costanza può dirlo perché fu l’ultima confidenza ricevuta da Falcone. Erano insieme sull’auto blindata. Falcone aveva voluto mettersi alla guida per stare accanto alla moglie. “Ero seduto dietro – ha sempre raccontato – e stavamo parlando del più e del meno. Tra noi c’era un rapporto di fiducia. Mi chiese se la macchina da portare a Roma era pronta e io gli dissi di sì. Siccome nel quadro comandi erano rimaste inserite le mie chiavi, gli chiesi se, arrivato a casa, potevo prenderle. Lui sfilò le chiavi per porgermele e così spense la macchina. Gli dissi: ‘Ma così ci andiamo ad ammazzare’. E invece quel gesto distratto mi ha salvato la vita perché ha rallentato la velocità proprio un attimo prima dell’esplosione”. (ANSA).
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17 Novembre 2017, 15:00