Opinioni

L’auto elettrica, l’Europa e quella ‘profezia’ di Sergio Marchionne

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13 Ottobre 2024, 08:10

6 min di lettura

Nel gennaio del 2018, qualche mese prima della sua prematura scomparsa, Sergio Marchionne sosteneva: “Ne ho già sentiti troppi che hanno puntato tutto su un cavallo decidendo troppo presto che quella sarebbe stata la soluzione vincente. Sicuramente dobbiamo in questo momento introdurre i motori elettrici in Europa per rispettare le norme sulle emissioni che saranno introdotte nel 2020, me se mi chiede se sono convinto che i motori elettrici siano la soluzione definitiva per il comparto, allora la mia risposta è no. Con l’avvento del solare, dell’energia eolica, qualsiasi cosa che permetta di convertire l’acqua nelle stazioni di ricarica in idrogeno, è troppo presto per determinare quale sarà la tecnologia standard, il master design del futuro”.

Marchionne era profetico, ma purtroppo non ha potuto difendere le sue idee. E, d’altra parte, a giudicare dalla situazione attuale, l’Europa è stata troppo precipitosa nello scegliere il cavallo vincente e nel puntare tutte le sue fiches su di esso.

Parliamo, evidentemente, dell’auto elettrica, e, più in particolare delle BEV, veicoli elettrici a batteria dotate esclusivamente di un motore elettrico a batteria. Poco più di un anno fa, il Parlamento europeo ha definitivamente approvato il taglio delle emissioni di CO2 per auto e veicoli commerciali leggeri, accordo raggiunto l’anno precedente nel quadro delle misure previste dal piano Fitfor55. La decisione dell’Europa equivale allo stop alla vendita dei veicoli a motore termico nel 2035, siano essi alimentati a benzina o diesel.

La scelta dell’elettrico quale tecnologia standard per i successivi decenni è stata quindi operata dal Parlamento europeo, dalla politica europea, e non, come abitualmente avviene, dal confronto, dalla competizione, tra tecnologie alternative. Nelle fasi fluide (o di fermento) più tecnologie alternative concorrono tra di loro per l’affermazione della migliore, quella che dominerà nei decenni successivi, mantenendosi costante nelle caratteristiche fondamentali, ma via via migliorando attraverso un progressivo ed incrementale perfezionamento.

L’affermazione di una tecnologia sulle altre, secondo le teorie maggiormente accreditate sui meccanismi dell’Innovazione, non è solo funzione del valore intrinseco della tecnologia stand-alone; al contrario, un ruolo fondamentale compete alla disponibilità di beni complementari alla tecnologia ed alla dimensione della base degli utilizzatori.

Più grande è il numero degli utilizzatori, maggiore sarà l’effetto di apprendimento sulle caratteristiche e le performance della tecnologia e quindi la sua piena valorizzazione; ma anche, con un effetto sinergico, maggiore sarà la creazione di beni complementari necessari (o comunque utili) per la sua implementazione.

Si pensi ai motori termici: la loro affermazione nel secolo scorso è stata certamente associata alla disponibilità di una rete capillare di distributori di carburante (bene complementare), oltre che ad una base di clienti che è costantemente cresciuta e che, sinergicamente, ha determinato l’ulteriore ampliamento della rete.

Nel momento in cui la sensibilità ambientale è cresciuta impetuosamente ed ha determinato l’urgente richiesta del taglio delle emissioni e quindi una fase fluida che portasse alla scelta di una nuova tecnologia dominante più sostenibile per l’ambiente, la competizione non è stata libera, come Marchionne profetizzava ed auspicava, ma è stata determinata dalla politica europea con la decisione del Parlamento in favore dell’auto elettrica.

Le conseguenze, almeno ad oggi, sono sotto gli occhi di tutti. È di questi giorni la richiesta dei concessionari d’auto europei di spostare in avanti le date fissate per la riduzione dei limiti sulle emissioni auto, per una semplicissima ragione: le auto elettriche non si vendono!

A settembre si è registrato in Italia un crollo del 43,9% delle vendite di veicoli elettrici rispetto all’anno precedente. Le linee di produzione dello stabilimento di Mirafiori, dove Stellantis realizza la 500 elettrica, sono quasi costantemente ferme, con un continuo ricorso alla cassa integrazione per gli operai proprio per la mancanza di richiesta.

Ma anche in Germania, non appena il governo federale ha deciso di tagliare gli incentivi, le vendite a luglio sono crollate del 37% e addirittura ad agosto del 69% sempre rispetto all’anno precedente.

La spiegazione è semplice, se si riprendono le considerazioni riportate in precedenza. Probabilmente, ma è tutto da dimostrare, il motore elettrico rappresenta la migliore tecnologia in termini di valore stand-alone dal punto di vista delle emissioni.

Ma così non è per il costo, ancora eccessivamente elevato, soprattutto in confronto alla concorrenza cinese: solo una continua ed imponente politica di incentivi da parte dei governi riesce a rendere appetibile il prodotto.

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E, soprattutto, così non è per la disponibilità di beni complementari, in primis la rete di ricarica, ancora drammaticamente insufficiente. Le colonnine sono poche, in particolare quelle più potenti, che consentirebbero una ricarica sufficientemente veloce.

Per non parlare della disponibilità delle materie prime per la realizzazione delle batterie, altro bene complementare fondamentale per il successo della tecnologia. Ed ancora: è stato affrontato il tema delle batterie esauste a fine ciclo di vita? In assenza dei beni complementari, non si forma la base degli utilizzatori e tanto meno l’interazione sinergica e virtuosa con lo sviluppo di nuovi beni complementari. Per chiarire meglio il concetto: avrebbe successo uno smartphone costoso, difficilmente ricaricabile e con pochissime app? Evidentemente no.

L’auto elettrica quale tecnologica dominante per il futuro è stata “imposta” dalla politica europea. E le conseguenze le vediamo con grande chiarezza.

Ma le decisioni delle Istituzioni europee (Commissione e Parlamento) appaiono ancora più improvvide ed incomprensibili considerando che nel settore dell’auto elettrica esisteva un altro player a livello mondiale, la Cina, decisamente molto più avanti nel settore in questione.

Negli ultimi decenni la Cina si è preoccupata di acquisire le concessioni minerarie di nichel, cobalto e litio e ha raggiunto la leadership tecnologica mondiale nella produzione delle batterie. Sta muovendosi rapidamente verso le batterie al sodio, meno costose ed inquinanti.

Ha sviluppato una importante rete di ricarica, ha affrontato per prima il problema del riciclo delle batterie, e, naturalmente, ha costi di produzione e dell’energia largamente inferiori all’Europa, ciò che consente un costo delle auto elettriche cinesi largamente inferiore rispetto ai competitori. Oggi BYD (Build Your Dream) è il primo produttore mondiale di auto elettriche avendo sorpassato anche Tesla.

Stoppare la vendita di motori termici e scegliere con un diktat politico l’auto elettrica quale master design per il futuro è stato un regalo alla Cina.

Cosa fare adesso? Tornare indietro è pressoché impossibile. La transizione può essere rallentata per proteggere impianti e posti di lavoro, ma non fermata: i principali produttori europei si sono già spinti avanti per assecondare le decisioni dell’Europa e hanno messo in campo importanti investimenti rivolti alla produzione di auto elettriche: Tavares (Stellantis), ma anche i produttori tedeschi hanno già chiarito questo punto.

La politica dei dazi, avviata proprio in questi giorni, può dare risultati nell’immediato, ma sarà facilmente aggirata dalla Cina spostando la catena di assemblaggio dei veicoli in Paesi europei compiacenti (in primis l’Ungheria, ma anche il Ministro Urso non sarebbe certamente contrario ad un impianto in Italia).

La soluzione, probabilmente, l’Europa può solo trovarla solo ragionando da Europa unita, da grande player mondiale. Pensando ad una politica europea degli incentivi, agevolando la capillarizzazione delle reti di ricarica, creando un vero campione europeo per la produzione delle batterie e dei veicoli, alzando, in altri termini, la scala del problema per ottenerne economie, gestendo unitariamente le catene di approvvigionamento delle materie prime.

Promuovendo infine ricerca e sviluppo per migliorare il rendimento delle batterie, ripensare il sistema di ricarica (perché non immaginare reti di distributori in cui è possibile cambiare l’intera batteria?), studiare le migliori tecnologie di riciclo delle batterie esauste. Ma, ancora una volta, si deve iniziare a ragionare da Europa.

(l’autore è componente dell’esecutivo di Italia Viva)

Pubblicato il

13 Ottobre 2024, 08:10

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