23 Giugno 2016, 06:00
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PALERMO – Ciao ciao Autonomia. E tanti saluti allo Statuto. La Sicilia è diventata una Regione “ordinaria”. Anzi, una modesta dependance dello Stato centrale che decide, indica, obbliga e impone. Con governo e parlamento siciliani ormai impegnati solo nell’operazione di annuire, abbozzare ed eseguire. Nonostante il presidente Crocetta si consideri un “autonomista” convinto, così come tanti suoi colleghi deputati dell’Ars.
L’ombra di Renzi sull’Ars
E invece, le cronache e i fatti raccontano una verità ormai evidente: l’Autonomia non esiste più. Ferita, prima. E uccisa poi dalle decisioni di un governo regionale che gradualmente ha sempre più assunto la forma di tappetino dello Stato. Un governo centrale, per intenderci, che si permette di intervenire persino sul voto di un parlamento eletto come quello siciliano, attraverso le parole del Ministro Boschi che ha puntato il dito contro la volontà (poi rientrata) dell’Ars di abolire la doppia preferenza di genere. “Sarebbe grave – ha detto il ministro – un voto contrario, sia per la difformità rispetto alle scelte fatte dalla legge nazionale per il rispetto del principio costituzionale della parità dei sessi, sia perché verrebbe meno l’equilibrio, quanto mai auspicato, della rappresentanza di genere”. Parole che hanno innescato la reazione furente del presidente dell’Ars Ardizzone: “È fuori luogo che un ministro intervenga mentre si sta discutendo di una norma in Assemblea regionale, soprattutto se quel ministro poi sarà presente nella seduta in cui il Cdm discuterà sulle impugnative delle leggi della Regione siciliana”.
L’eclissi dell’Autonomia
Ma l’entrata a gamba tesa della Boschi nelle questioni siciliane è, in fondo, poca cosa rispetto a quanto visto negli ultimi mesi. Mesi in cui il governo regionale ha progressivamente spogliato la Sicilia delle sue prerogative legate a uno Statuto festeggiato solennemente a Palazzo dei Normanni poco tempo fa. E basta andare indietro di pochi giorni, o di poche ore. E ripercorrere il contenuto dell’accordo firmato a Palazzo Chigi dal governatore Crocetta per il trasferimento all’Isola delle somme congelate in bilancio. Alcuni passaggi segnano una “resa”, ormai definitiva, nei rapporti col governo centrale, considerato spesso iniquo e ingiusto anche dai magistrati della Corte dei conti. Quella che l’ex assessore regionale al Bilancio Franco Piro ha recentemente descritto come “l’eclissi dell’autonomia”, facendo anche riferimento alle rinunce di Crocetta ai contenziosi contro Roma.
Nessuna opposizione allo Stato
Mentre, infatti, il governatore rinunciava ai ricorsi contro il governo centrale, si impegnava, addirittura, a “favorire l’intervento dello Stato in esecuzione della sentenza di condanna della Corte di giustizia dell’Unione Europea relativa alla procedura di infrazione comunitaria, nonché il recupero delle somme anticipate dallo Stato in esecuzione della stessa sentenza”. Si tratta, per intenderci, della sentenza che ha condannato l’Italia al pagamento, per le violazioni sulle discariche e sui rifiuti pericolosi, di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 43 milioni. Delle 200 discariche oggetto dell’intervento europeo, 12 sono in Sicilia. Il governo ha detto che “favorirà” l’intervento dello Stato: ovvero non si opporrà al pagamento della propria “quota”.
Le leggi “dettate” da Roma
E non sarebbe un fatto nemmeno troppo strano, se non rientrasse in un quadro complessivo in cui la Sicilia si è privata di ogni “potere contrattuale” nei confronti del governo centrale. Anzi. Il governo Crocetta si è pure impegnato a recepire norme che dovrebbero essere approvate dall’Ars. Parlamento che ormai, da un po’, è stato declassato a una specie di ufficio protocollo di Palazzo Chigi. Il governatore, insomma, si è impegnato a fare cose che non rientrano nemmeno nei suoi poteri: recepimento di norme nazionali, compresa quella sui “furbetti del cartellino”, o “completamente” la legge Delrio. Come se il parlamento, insomma, non esistesse.
E davvero l’Ars ormai è ridotta a un consesso di passacarte. Basterebbe solo ripercorrere la recente storia legislativa del parlamento, che si è limitato ad approvare e poi a riscrivere completamente leggi prima bocciate e poi dettate dal governo centrale. Mentre il governo Crocetta non “osava” una opposizione di fronte alla Consulta. Anzi. Nell’accordo firmato ieri, è prevista la rinuncia anche a questa specie di ricorso: se Roma considererà incostituzionali leggi o parti di legge approvati dall’Ars, il parlamento dovrà “obbedire” e riscrivere. Altro che Autonomia.
Un’Autonomia del resto già cestinata in occasione delle poche riforme vere esitate dall’Aula. Tutte, alla fine, ridotte alla riproposizione in bella copia delle leggi nazionali: dagli appalti all’acqua, senza parlare delle Province (che dopo tre anni di errori, Crocetta si è impegnato a ricopiare dalla ‘Delrio’), di diverse norme delle leggi di stabilità (come l’Ecotassa per i Comuni ad esempio) o della legge sui rifiuti.
Un settore, quest’ultimo, dove si è registrata un’altra delle più clamorose rese dell’Autonomia siciliana. Nell’ultima ordinanza approvata dal Ministero dell’Ambiente, infatti, tra le decine di obblighi ai quali il governo Crocetta è chiamato a obbedire, c’è anche quello di approvare “con solerzia” e far esaminare dal parlamento la nuova riforma dei rifiuti. Diversa da quella approvata dai deputati e che a Roma non piaceva granché. Palazzo Chigi decide, quindi. Crocetta, sedicente autonomista, esegue. Giusto per garantirsi qualche mese in più alla guida di una nave che continua ad affondare. Di un governo che ha, nei fatti, abolito l’Autonomia e cancellato lo Statuto. In cambio di qualche briciola.
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23 Giugno 2016, 06:00