01 Agosto 2014, 11:52
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PALERMO – Preoccupanti, se non addirittura tragici: così possono essere definiti i dati relativi alla condizione economica della Sicilia e sulle prospettive per il futuro presentati stamane nel 41° “Report Sicilia” dalla Fondazione Curella. L’analisi, studiata in collaborazione con il Diste, Dipartimento Studi Territoriali, parla di una Sicilia ben lontana dalla ripresa economica e con entrambi i piedi ancora affondati nelle sabbie mobili della crisi.
Il 2013 si è chiuso con un crollo dell’occupazione del 5,3%, il più pesante degli ultimi decenni, a conclusione di un settennato di crisi che ha fatto segnare una perdita del saldo occupazionale di circa 182mila posti di lavoro. Ed i dati negativi non finiscono qua. Il Report, presentato nel dettaglio dal presidente del Diste, Alessandro La Monica, enumera cifre che parlano di una profonda ed oramai quasi incancrenita situazione di crisi nell’economia dell’Isola: sono 20.700 le imprese che hanno chiuso in Sicilia dal 2006, con un saldo negativo tra aperture e chiusure pari al 27,9 per cento; la previsione per l’anno in corso parla di un ulteriore calo di altre 30mila unità, con un tasso dell’occupazione che arriverà al 24,1%. In particolare, mentre nel settore turistico si ha una minima percentuale di crescita, dovuta soprattutto alla presenza degli stranieri, in tutti gli altri settori i numeri sono da profondo rosso: -1,4% nel manifatturiero, -1,5% nell’industria, fino al dato sull’edilizia, il peggiore in assoluto, che segna un calo del 8,6 per cento. Infine, nel 2013 il Pil per abitante è sceso, per la prima volta negli ultimi venti anni, al di sotto dei 14mila euro, pari al 38 per cento in meno della media nazionale, dato che indica una crisi nella crisi della Sicilia rispetto al resto della nazione.
Da brividi anche il dato relativo alla disoccupazione giovanile: “In Sicilia il tasso di disoccupazione dei giovani da 15 a 24 anni è schizzato nel 2013 al 53,8% (e avrebbe sfiorato secondo stime Diste il 60% nel corso del 2014), e quello dei 25/34enni è salito al 32,5%”, dice il Rapporto.
“Per avere un fisiologico livello di occupazione – spiega Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella –, in Sicilia sarebbe necessario un milione di posti di lavoro in più, per un totale di 2,3 milioni. Con questi numeri si eviterebbero le emigrazioni in cerca di lavoro fuori dall’Isola; con questi livelli di crescita, invece, è impossibile pensare ad una Sicilia fuori dalla crisi per almeno i prossimi venti anni”.
Maurizio Bernava, leader regionale della Cisl, presente alla presentazione del Report, attacca l’operato della classe politica siciliana, accusata di incapacità ed immobilismo. “Dovremmo costringere in una stanza i nostri politici a seguire i dati economici – dichiara scherzosamente il segretario della Cisl –, perché ho la sensazione che non abbiano idea di quale sia l’economia reale della regione, prova ne sia lo show surreale che stanno mettendo in atto in questi giorni con questa ‘finanziaria di ferragosto’. Siamo di fronte alla desertificazione economica e la Regione non ha un piano economico che dia una speranza alla Sicilia. Noi della Cisl proponiamo da tempo un piano di recupero urbano, di riequilibrio dei sistemi produttivi, culturali, turistici ed industriali che dia rilancio alla nostra economia. A Palazzo dei Normanni – accusa Bernava –, invece, piuttosto che parlare dei fatti reali e di ciò che quotidianamente accade e che questo Report sottolinea una volta di più, si sta discutendo soltanto di come creare nuove alleanze e nuovi equilibri che tendano a ‘gestire il sistema’, in barba alle reali esigenze dei siciliani. C’è uno spettacolo indegno, sul piano etico e professionale, con una classe politica avulsa dalla realtà per totale incompetenza”.
Gaetano Armao, ex assessore regionale all’Economia, sottolinea alcuni dati che fanno capire come nel Mezzogiorno stia addirittura regredendo sul piano economico. “Basta guardare gli investimenti in infrastrutture negli ultimi decenni: nel Sud Italia sono calati da 11 miliardi del 1972 a 2,5 miliardi del 2012, mentre nello stesso periodo al Centro-Nord sono aumentati da 14,5 a 25 miliardi di euro. Dunque, qual è la via d’uscita dalla crisi? L’unica che individuo, dato che soldi per le infrastrutture non ce ne sono, è la fiscalità compensativa, perché – conclude Armao – gli investitori, di fronte ad una fiscalità altissima ed a condizioni produttive non all’altezza di una tale tassazione, punteranno lo sguardo poche miglia più in là, a Malta o in Tunisia, che hanno una fiscalità molto più bassa”.
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01 Agosto 2014, 11:52