Le cimici a casa di Pippo “l’avvocato” |Gli equilibri dopo l’omicidio Leanza

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16 Marzo 2017, 19:14

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CATANIA – Il maggiore Adolfo Angelosanto, ex Comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Catania ed ora a Roma, è tornato al Palazzo di Giustizia per il controesame dei difensori degli imputati accusati di essere i protagonisti di una cruenta guerra di mafia che si è consumata a Paternò nel 2015 e che ha portato alla morte di Salvatore Leanza e al tentato omicidio di Antonino Giamblanco. La faida vedeva contrapposti i referenti dei Santapaola, gli Alleruzzo e i Morabito-Rapisarda, legati ai Laudani di Catania.

Davanti alla Corte d’Assise si è celebrata un’altra udienza del processo che vede alla sbarra Vincenzo Morabito (Enzo Lima), Salvatore Rapisarda (detto Turi U Porcu – Panzuni), il figlio Vincenzo Salvatore Rapisarda (Alias Scrusci Scrusci), Alessandro Giuseppe Farina e Giuseppe Parenti. Nella retata En Plein, coordinata dai pm Antonella Barrera e Andrea Bonomo furono arrestati in 16: il resto degli imputati è stato processato con il rito abbreviato che si è concluso con una serie di condanne. L’appello è già in corso.

E’ l’avvocato Giuseppe Caruso che pone diverse domande al maggiore dei carabinieri. Secondo l’accusa (rappresentata in aula dal pm Andrea Bonomo) Salvatore Leanza aveva riunito i suoi fidati per far tornare in auge a Paternò il nome degli Alleruzzo. Una mossa che non sarebbe piaciuta al clan contrapposto dei Morabito-Rapisarda che avrebbe deciso di eliminare il boss rivale. Leanza muore crivellato di pallottole a giugno del 2014. “C’erano diversi elementi che dimostravano che Leanza era tornato operativo dopo la sua scarcerazione nel 2013”, spiega Angelosanto rispondendo ai quesiti del difensore. Tra questi vi era anche “una denuncia per un’estorsione che sarebbe stata richiesta proprio da alla vittima”.

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Dall’esame del maggiore Angelosanto emergono nuovamente gli importanti input investigativi che portarono a concentrare le attività investigative su Salvatore Rapisarda, storico vertice della cupola dei Laudani di Paternò. “L’intercettazione del 27 giugno 2014 in caserma tra Furnari e Giamblanco e la conversazione a casa di Giuseppe Amoroso del 16 luglio 2014 (detto Pippo l’Avvocato, che l’anno scorso è stato bersaglio di un agguato fallito) a Biancavilla in cui si delineavano gli equilibri tra i clan mafiosi”, sono alcuni passi delle dichiarazioni del teste.

Nei faldoni dell’inchiesta vi è anche il colloquio in carcere del 29 luglio 2014 tra Salvatore Rapisarda con il figlio Vincenzo Salvatore: l’incontro in cui sarebbe partito l’ordine di uccidere Giamblanco. A dare un’accelerazione all’inchiesta le rivelazioni di Franco Musumarra, detto Cioccolata e ex killer dei Morabito-Rapisarda, che si auto accusato dei due fatti di sangue. Musumarra è uno dei pentiti inseriti nella lista dei testi dell’accusa. Tra i collaboratori di giustizia da esaminare anche Giuseppe Laudani.

Prima della chiusura dell’udienza Salvatore Rapisarda dalla gabbia ha chiesto alla Corte di poter rilasciare dichiarazioni spontanee. “Io il pomeriggio dell’omicidio di Salvatore Leanza ho telefonato ai carabinieri per dire che ero disponibile ad essere sentito, ma mi è stato detto che non era necessario. Quando sono arrestato mi sono difeso dalle accuse”, ha ribadito l’imputato ai giudici. Il processo continuerà il prossimo 11 aprile.

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16 Marzo 2017, 19:14

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