11 Luglio 2014, 20:03
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La visita di Papa Francesco in Calabria e le sue durissime parole contro la ‘ndrangheta hanno riportato in primo piano il rapporto tra la Chiesa e la mafia. Complesso, difficile da analizzare, vissuto in modo diverso da protagonisti diversi.
Rinviamo a studiosi che hanno scritto pagine assai convincenti sul tema. Sostanzialmente lamentano un atteggiamento “burocratico” della Chiesa nei confronti della mafia più disposto al perdono in caso di pentimento che di denunzia del peccato. Va precisato che la scomunica comminata e ripetuta contro le mafie produce come effetto l’impossibilità per lo scomunicato di prendere parte a celebrazioni liturgiche o assumere incarichi ecclesiastici. Non ne soffrono certo le coscienze di criminali incalliti ma piuttosto parroci e curie non dovrebbero più contribuire in alcun modo al consenso sociale che la criminalità organizzata cerca di creare intorno a sé anche con una narrazione pseudo religiosa che fa di se stessa. Come non ricordare, difatti, le cortine di silenzio o persino, talvolta, le linee di omertosa connivenza che, ad eccezion fatta rispetto a qualche prelato più coraggioso, spesso sconcertano la comunità dei fedeli.
Qui vorremmo invece analizzare a volo d’uccello il ruolo della Chiesa nel contesto siciliano sotto il profilo politico, sociale, economico. Oggi, almeno apparentemente, la Chiesa ufficiale siciliana ha un rapporto totalmente distaccato rispetto alla politica. E questo al contrario del passato. E’ interessata da fenomeni di clientelismo nelle scadenze elettorali ma con schieramenti trasversali e più fondati sul consenso alla persona che su un partito. Periodicamente pubblica interessanti documenti di denuncia sulle condizioni economiche della regione che trovano però scarso riscontro di comunicazione. Sul piano economico i comportamenti della Chiesa sono ispirati ad un modello assistenziale con parrocchie attivissime nei quartieri degradati. Poi c’è un cono d’ombra che ricopre attività speculative di tipo edilizio, inserimenti nei flussi di spesa pubblica non sempre trasparenti, protagonismo nel settore educativo spesso facilitato da ritardi dello Stato.
Andiamo al profilo sociale. La Chiesa è stata sollecitata in questi ultimi tempi dal problema dell’immigrazione, dell’accoglienza. La sua risposta è stata differenziata. Alcune chiese si sono “aperte”, altre sono rimaste ostinatamente chiuse. Monasteri abbandonati, edifici di culto sconsacrati, ed altro, avrebbero potuto essere utilizzati per offrire asilo e permanenza. Atteggiamento tiepido sul punto naturalmente con nobili eccezioni: basti pensare al Centro Immigrati della CARITAS Diocesana di Messina, che ha istituito per immigrati e Rom servizi di assistenza, centri di ascolto, patronato, case di accoglienza e dormitori. Contraddetto dal recente “scandalo” accertato nella Caritas di Trapani. Diamo a questa ricognizione un carattere più generalista. La Chiesa siciliana conosce adesioni di massa in alcune ricorrenze che farebbero pensare ad un suo ruolo di assoluto spessore nella vita pubblica. Ma sotto la ritualità, lo sfarzo, il confine incerto con il paganesimo, non sembra esistere il perseguimento di modelli etici e l’assoluta condanna rispetto a chi non li osserva.
Riflettiamo un attimo: nel confronto tra le Chiese e le associazioni imprenditoriali con riferimento ad una manifestazione continua di ricerca di moralità la Chiesa resta indietro. Non sembrano oggi emergere nelle aree ecclesiastiche figure di particolare riferimento e recentemente qualche vescovo più interessato ad una presenza nel sociale è stato “azzoppato” da questioni finanziarie. C’è una intellettualità cattolica di rilievo ma senza alcuna incidenza sul pensiero dominante. Le Università cattoliche non hanno lo stesso rilievo delle case madri. Restano ovviamente i preti di frontiera, di strada. Quelli che nei quartieri degradati “rammendano”, e mantengono ostinatamente accesa una luce virtuale nel loro oratorio. Ma anche qui il giudizio finisce, in base a recenti vicende giudiziarie, con il dover essere diversificato. La missione talvolta, anche in buona fede, si trasforma in business.
E, per restare nel tema, vi sono anche contraddizioni “al vertice”. Da una parte il cardinale di Palermo Paolo Romeo, che dopo varie sollecitazioni dell’opinione pubblica e della stampa, nelle scorse settimane dichiarava infine decaduto Stefano Comandè, arrestato nel corso di una operazione antimafia, da Superiore della Confraternita delle Anime Sante di piazza Ingastone, sospendendo altresì la Confraternita a tempo indeterminato da ogni sua attività ordinaria e straordinaria. Sul punto, da subito e in maniera netta, si era schierato l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, dichiarando che tutti coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete non possono far parte di associazioni religiose, confraternite, comitati festa o consigli pastorali (si veda Salvo Palazzolo, Mafia nelle confraternite. Il vescovo Pennisi all’attacco “Fuori i collusi dalla Chiesa”, La Repubblica, 3 maggio 2014). Il prelato aveva anche ribadito che il rispetto della legalità è parte integrante della coerenza della vita cristiana, con parole forti, che hanno scosso la chiesa siciliana, ancora connotata da tentennamenti e silenzi.
La Sicilia è regione cattolica, con un modo di vivere la propria spiritualità che potrebbe definirsi “pret a porter”. Non sembrano esserci come in altre regioni agenti di sviluppo col marchio religioso. Non esistono, giusto per fare un esempio terra terra, soggetti influenti come Comunione e Liberazione o la Conferenza delle Opere. Presenti, attive, decisive nello sviluppo di altre regioni. Della loro assenza non sappiamo se compiacerci (visto i fenomeni di corruzione nei quali in qualche regione sono coinvolte) o dolerci.
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11 Luglio 2014, 20:03