“Le denunce ci sono | Ora ci vuole la svolta”

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14 Febbraio 2010, 02:26

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“Il problema non è, come hanno fatto intendere certi titoli di giornali, che i negozianti non denunciano più. Continuiamo a registrare denunce, l’ultima per esempio ci è arrivata giovedì, ma siamo ancora lontani da un fenomeno di denuncia di massa che è l’unico modo per sconfiggere il racket”. Invocano un salto di qualità i ragazzi del comitato Addio pizzo. Un salto di qualità che parta dai diretti interessati, le vittime del pizzo, e consenta di superare quella soglia critica di denunce necessaria per poter parlare davvero di rivoluzione culturale e ribellione contro la mafia. Abbiamo chiesto a Daniele Marannano, uno degli attivisti di Addio pizzo, di spiegarci come la sua associazione intende spronare il mondo imprenditoriale, politico e istituzionale, a sostenere l’azione di contrasto al racket.

Insieme ad altri membri di Addio pizzo, hai lanciato l’allarme sul calo delle denunce. Secondo te, perché c’è questo rallentamento proprio adesso?
“Noi non abbiamo mai detto che i commercianti non denunciano più. Il punto è un altro: le denunce arrivano, ma non sono abbastanza. Si sono aperte delle crepe nel muro dell’omertà e del racket, adesso occorre abbattere quel muro e fare il salto di qualità. Sul piano della repressione, la magistratura e le forze dell’ordine hanno inferto dei duri colpi a Cosa nostra. Dal 2007 a oggi è stato fatto tutto il necessario, ma manca ancora quella mobilitazione di massa che porti al fenomeno della denuncia collettiva”.

Addio pizzo ha già annunciato che non si costituirà più parte civile nei processi in cui le vittime del pizzo non collaborano con la giustizia. Credi che funzionerà da sprone a denunciare di più?
“La nostra è una scelta che nasce da una presa di consapevolezza, cioè dalla constatazione che spesso, negli ultimi tempi, si è parlato di rivoluzione culturale nei processi in cui ci siamo costituiti parte civile ma, in realtà, questa rivoluzione è appena agli inizi. Noi vogliamo mandare un messaggio chiaro alle associazioni di categoria: non ha senso presentarsi in tribunale come parte civile se non si è in grado di raccogliere denunce di imprenditori e commercianti sul territorio. Come per ogni rivoluzione serve del tempo per poterla realizzare, ma i tempi si possono accorciare se ciascuna associazione di categoria – come Confcommercio, Confesercenti e Cna – fa la sua parte”.

Come si può far capire a tutti che la denuncia collettiva è il modo più efficace per contrastare il racket?
“Ci sono due casi recenti che dimostrano quanto sia efficace il fenomeno della denuncia collettiva. Mi riferisco al processo “Addio pizzo” a Palermo e al processo a Carini, in cui gruppi di imprenditori e commercianti si sono decisi a collaborare e denunciare, senza alcun rischio per la loro incolumità e per l’attività che esercitano. E questo è stato possibile proprio grazie al fatto che hanno denunciato insieme”.

Quanto siamo lontani dalla rivoluzione culturale che invocate?
“Certamente mancano all’appello soggetti come le associazioni di categoria, la cui presenza allargherebbe il fronte degli operatori impegnati nella lotta al racket. Manca la loro collaborazione e di certe forze politiche”.

Criticando l’inerzia delle associazioni di categoria, nei giorni scorsi hai anche detto che Confcommercio ha chiesto ai suoi iscritti di non aderire ad Addio pizzo. Confermi?
“Assolutamente sì, basta guardare la nostra lista e constatare che nessuno degli operatori economici che aderisce alla nostra campagna ci è stato portato da Confcommercio, Confesercenti e Cna”.

Roberto Helg dice che voi lavorate sul palcoscenico, mentre Confcommercio lavora in silenzio e ha già espulso degli iscritti che hanno riportato condanne.
“Sì, devo dire che come associazione preferiamo il palcoscenico della strada, piuttosto che l’ottavo piano della camera di commercio. Loro non si muovono sul territorio, è questo che lamentiamo. Addio pizzo e Libero Futuro assistono complessivamente oltre 100 operatori economici che hanno denunciato e collaborato attivamente con gli inquirenti”.

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Se le associazioni di categoria aderissero al vostro appello, come pensereste in concreto di portare avanti la lotta corale di cui parlate?
“Noi siamo pronti a offrire la nostra esperienza e il nostro know how, come già abbiamo fatto con Confindustria Sicilia”.

Avete detto di sentirvi soli in questa lotta.
“Accanto a noi rimangono gli imprenditori, i commercianti, la magistratura e le forze dell’ordine”.

Che cosa devono fare le istituzioni, le forze politiche per aiutare le associazioni come la vostra?
“Non si può chiedere ai commercianti di denunciare se poi dalle istituzioni non vengono modelli di comportamento esemplari. Non si può plaudere a iniziative come quelle di Confindustria Sicilia, che ha deciso di espellere gli imprenditori che pagano il pizzo, se non si ha il coraggio di seguirne l’esempio”.

Ti riferisci a qualche partito in particolare?
“Al mondo politico, senza distinzione”.

E la gente comune che cosa può fare?
“Noi fondiamo il nostro impegno soprattutto sulla campagna di consumo critico che è rivolta proprio ai cittadini, ai quali chiediamo di andare ad acquistare da quei 420 negozianti che hanno aderito all’iniziativa, ribellandosi al racket”.

 

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14 Febbraio 2010, 02:26

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