11 Giugno 2015, 14:07
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PALERMO – Le esigenze cautelari sono durate due giorni e mezzo. La mattina del 27 maggio finivano ai domiciliari i deputati regionali Nino Dina e Roberto Clemente, assieme all’ex onorevole Franco Mineo, con la pesante accusa di corruzione elettorale. Dieci minuti dopo le 17 del 29 maggio quelle stesse esigenze cautelari non c’erano più. Risultato: liberi tutti.
Le ipotesi di reato restano gravi, anzi gravissime – lo sanno bene gli stessi indagati che non si sono lasciati andare in commenti trionfalistici dopo la scarcerazione -, ma lo sgretolarsi delle esigenze cautelari è un dato di fatto. Nelle motivazioni con cui il giudice per le indagini preliminari Ettorina Contino, lo stesso che aveva firmato l’ordine di arresto, ha revocato i domiciliari non c’è traccia dell’errore ventilato dai difensori degli indagati. Per primo è stato il legale di Roberto Clemente, l’avvocato Marco Clementi, a sostenere, depositando una sentenza della Corte costituzionale, che la Procura avrebbe formulato una contestazione errata. Per le elezioni regionali si applicherebbe la norma che vale per le comunali e non quella per le nazionali con la conseguenza che la pena prevista è più bassa – sotto i tre anni – e dunque non è possibile disporre una misura cautelare.
Di tutto ciò, però, non c’è traccia nella revoca degli arresti domiciliari. La Procura, che ha dato parere favorevole alla scarcerazione, va avanti per la sua strada come ha confermato il procuratore aggiunto Vittorio Tersi che coordina le indagini. “Per noi non è cambiato nulla – ha dichiarato a La Repubblica – porteremo a giudizio gli indagati per le accuse contestate. Secondo noi sono quelle. E anche il gip, al momento, le ha ribadite, disponendo l’annullamento dell’ordinanza solo per il venir meno delle esigenze cautelari”.
Così in realtà è andata. Nelle poche righe con cui il giudice ha revocato i domiciliari ai tre indagati si legge “ritenuto che, alla luce delle dichiarazioni rese dal coindagato Mineo Franco nel corso dell’interrogatorio di garanzia, devono ritenersi cessate le esigenze cautelari poste a base del provvedimento applicato della misura, revoca la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata”. Una formula che suona strana agli stessi avvocati. Mineo, infatti, nel corso del suo interrogatorio altro non ha fatto che respingere le accuse che gli vengono contestate.
Dalle conversazioni registrate nel corso delle indagini è emerso un presunto patto tra il candidato alle ultime elezioni comunali di Palermo, Giuseppe Bevilacqua, risultato poi il primo dei non eletti della lista Cantiere Popolare, e lo stesso Mineo. Il primo si sarebbe impegnato ad appoggiare la candidatura di Mineo alle regionali dell’ottobre 2012, ottenendo in cambio la promessa di incarichi alla Regione. La replica di Mineo può essere così riassunta: si parlava di incarichi di partito per la cui assegnazione sarebbe stato preso in considerazione il peso elettorale dimostrato da Bevilacqua. Nulla di illecito, insomma. Su questo punto Pm e avvocati difensori si scontreranno nei giorni a venire.
Resta il nodo delle esigenze cautelari, visto che Mineo non ha fatto cenno alcuno ai suoi coindagati durante l’interrogatorio. Non si comprenderebbe, dunque, per quale ragione delle sue parole avrebbero finito per beneficiarne tutti. Il giudice Contino era stata piuttosto dura nel giustificare l’esigenza di mandare ai domiciliari i politici indagati: “Per quanto concerne Clemente Roberto, Dina Antonino e Mineo Francesco – il primo già consigliere comunale e gli altri due già deputati regionali – la gravità delle condotte di corruzione elettorale poste in essere e l’uso strumentale delle pubbliche funzioni svolte per ottenere la promessa di voti da parte di Bevilacqua inducono a ritenere altamente concreto ed attuale il pericolo che gli indagati, se lasciati in libertà, possano reiterare analoghe condotte di reato… a ciò si aggiunga che Clemente e Dina rivestono attualmente la carica di deputati regionali, circostanza che già di per sé rende concreto e attuale il pericolo che i medesimi, verificandosene nuovamente l’occasione, possano in futuro commettere reati della stessa indole di quello per cui si procede”.
Ed ancora: “La pericolosità sociale di Dina e Mineo (sono difesi dagli avvocati Ninni Reina e Marcello Montalbano ndr) risulta, inoltre, dalla considerazione che, nei confronti del primo, pende un procedimento penale per il reato di finanziamento illecito dei partiti e che il secondo è stato di recente condannato, sebbene in via non definitiva, alla pena complessiva di anni otto e mesi due di reclusione per i delitti di peculato e di intestazione fittizia di beni aggravato ex art. 7”. Ce n’era abbastanza, il 27 maggio, per mandarli ai domiciliari. Il 29 pomeriggio, però, erano già tutti a casa. La pericolosità sociale era svanita. Così come il rischio di reiterazione del reato e il possibile inquinamento probatorio.
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11 Giugno 2015, 14:07