Le “lucciole” si confessano: | “Siamo schiave del bisogno”

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01 Aprile 2010, 11:03

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L’ultimo, agghiacciante, caso di sfruttamento della prostituzione ad opera , non di avide bande criminali di chissà quale Paese, ma di mariti e padri di alcuni comuni del palermitano, ha squarciato un velo di verità su un mondo per certi versi  ancora sconosciuto e dalle dimensioni inimmaginabili. Un mondo vasto e composito, insediato con radici profonde nei salotti buoni delle nostre città, con appartamenti in affitto nelle vie principali di Palermo, da via Libertà alla zona dello stadio. Storie di paura e di indigenza, di degrado e diffidenza. Quasi tutte, le “lucciole” munite dell’immancabile annuncio sul quotidiano locale, dicono di aver scelto la strada della prostituzione per bisogno, “per necessità, per guadagnare qualcosa”. Rispondono così alla telefonata del cronista di “Livesicilia”  In molte affermano, tra l’ingenuo e il paradossale, “che si tratta di un lavoro come un altro, di un lavoro che piace e permette di mettere qualcosa da parte”, di lavorare “per una scelta autonoma”o “per risolvere problemi personali”. Assicurano di non aver organizzazioni alle spalle che le proteggono e le sfruttano. Chissà se sia davvero così. Gli ultimi episodi di cronaca farebbero pensare diversamente. Farebbero pensare a un vorticoso giro di soldi ed interessi. Molte si definiscono “tranquillamente fidanzate”, e giurano di non aver aguzzini o sfruttatori pronti a estorcere una consistente parte dei loro guadagni.

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Libere professioniste, insomma, impegnate in un business come un altro, pronte a svendere i propri corpi per qualche decina di euro. Voci di giovani donne impaurite, sospettose più che mai. “Che volete da me, non mi piacciono le inchieste”, ci sentiamo rispondere ai primi tentativi di capire, di conoscere le motivazioni che spingono centinaia di “massaggiatrici” ad attraversare oceani e continenti pur di piazzare il proprio annuncio su qualche testata locale e attirare così il maggior numero di clienti. Prima di rispondere anche ai più banali e innocui interrogativi del cronista esigono garanzie. Pretendono l’anonimato e rispondono con monosillabi impauriti.  Dicono di “essere in regola con i documenti” e di aver perfino “la cittadinanza italiana”, ma poi si trincerano dietro “chiama qualcun altro” o agganciano repentinamente appena comprendono di non aver a che fare con l’ennesimo cliente. Temono, forse, controlli e alcune sono convinte addirittura di essere vittime di trappole della polizia. Storie di donne giunte in Sicilia, a Palermo e negli altri grandi centri dell’Isola,  da  Paesi lontani e meravigliosi, Brasile e Venezuela soprattutto. Ma non facciamoci illusioni. Non è un fenomeno lontano ed esotico. L’ultimo caso di Misilmeri, con le due giovani donne costrette a prostituirsi dai loro stessi mariti mentre questi accudivano i figli. “Dobbiamo pagare le rate del motore, sono arrivate le bollette, vedi che puoi fare”, il terribile ordine lanciato contro le compagne di vita, le madri dei loro figli. Il lavoro è lavoro. E a fine mese bisogna pur arrivare.  Un caso isolato?  Un episodio incredibile? Forse, o forse no. Chissà quante altre vicende sommerse. Chissà quante altre storie di bisogno e povertà. Non in altri mondi. Ma tra di noi.

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01 Aprile 2010, 11:03

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