10 Giugno 2017, 06:00
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PALERMO – Giuseppe Graviano un giorno parla di stragi, lancia accuse e attacca Silvio Berlusconi. Anzi, quel “traditore”, così lo definisce, che ad un certo punto “comincia a pugnalarmi”, venendo meno a chissà quali accordi del passato.
Il giorno dopo il capomafia di Brancaccio non smette di ribadire all’uomo che gli tiene compagnia durante l’ora d’aria: “Io ti dico solo che mi trovo in carcere da innocente… innocente”. Insomma, Graviano, il boss che sta scontando diversi ergastoli al 41 bis, dice tutto e il contrario di tutto.
Si ripetono i dilemmi dei giorni in cui gli agenti della Dia ascoltavano i dialoghi in carcere di Totò Riina: un boss del calibro di Graviano non immaginava di essere intercettato? Era sincero nelle confidenze che faceva a Umberto Adinoldi con cui iniziò a condividere la socialità?
I pubblici ministeri del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia riversano nel dibattimento un anno di trascrizioni. Trentadue intercettazioni comprese fra marzo 2016 e aprile 2017. Migliaia di pagine che devono passare al vaglio della Corte d’assise, allungando i tempi del processo proprio quando si intravedeva la fine all’orizzonte.
Anche la tempistica alimenta la polemica. Quella di ieri era, sostiene l’accusa, la prima udienza utile per depositare le nuove carte, visto che erano finite le convocazioni dei testi della difesa. Di avviso opposto, naturalmente, il legale di Berlusconi, Nicolò Ghedini, secondo cui “pagine, corrispondenti a centinaia di ore di captazioni, vengono enucleate poche parole decontestualizzate che si riferirebbero asseritamente a Berlusconi. Tale interpretazione è destituita di ogni fondamento non avendo mai avuto alcun contatto il presidente Berlusconi né diretto né indiretto con il signor Graviano È doveroso affermare – aggiunge Ghedini – come ogni qual volta il presidente Berlusconi sia particolarmente impegnato in momenti delicati della vita politica italiana e ancor più quando si sia nella imminenza di scadenze elettorali, si vota domenica in oltre 1.000 comuni, appaiano nei suoi confronti notizie infamanti che a distanza di tempo si rivelano puntualmente infondate ed inesistenti ma nel frattempo raggiungono lo scopo voluto”. E cioè, secondo Ghedini, di imbrattare la reputazione di Berlusconi alla vigilia della tornata elettorale delle amministrative.
Al netto delle polemiche e della distanze incolmabili fra le due posiziomi le intercettazioni inseriscono elementi nuovi nel dibattimento e nella ricostruzione che finora la Procura ha fatto degli anni delle stragi di mafia.
Così potrebbero essere sintetizzati. L’ex ministro Calogero Mannino sarebbe stato colui che avviò la trattativa perché temeva di essere ucciso, attivando i carabinieri del Ros. Silvio Berlusconi, al contrario, sarebbe l’uomo della guerra. Colui che avrebbe voluto le stragi (ipotesi pesantissima, da fare tremare i polsi, che non può essere suffragata dalle sole esternazioni di Graviano) per liberarsi della vecchia classe politica e diventare il leader incontrastato del panorama politico italiano.
Bisogna, però, fare i conti con la sentenza che ha assolto Calogero Mannino in primo grado e, in parte, quella definitiva che ha scagionatio Mario Mori. Ci sono poi le archiviazione che hanno ottenuto Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, a Firenze e Caltanissetta, che per le stragi sono già stati indagati nei primi anni duemila. Il gip nisseno parlò di prove insufficienti, dichiarazioni dei pentiti senza riscontro, e niente elementi tali da poter sostenere l’accusa in un processo. E così Berlusconi e Dell’Utri uscirono dall’inchiesta sui “mandanti occulti” delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Adesso le parole di Graviano ridanno fiato all’accusa. Per i pm del processo Trattativa le intercettazioni potrebbero confermare la fase conclusiva dei contatti tra i mafiosi e gli esponenti delle istituzioni, quando tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994 si stava organizzando la discesa in campo di Berlusconi con Forza Italia. Figura cardine era allora Dell’Utri, l’ex senatore che sta scontando una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Sarebbe stato Dell’Utri a tenere i contatti con Giuseppe Graviano. Dal boss di Brancaccio il pentito Gaspare Spatuzza disse di avere saputo, nel corso di un incontro al bar Doney di via Veneto a Roma, che grazie al patto con Berlusconi e Dell’Utri si erano “messi il Paese nelle mani”. Siamo, però, nel periodo successivo al 1992, quello in cui, secondo i giudici d’appello che hanno condannato Dell’Utri, i contatti dell’ex senatore con Cosa nostra non sono stati provati.
Le carte del processo si ingrossano. L’ipotesi del Berlusconi presunto stragista si aggiunge ad altri elementi intervenuti a processo in corso, secondo cui, il dialogo segreto con i boss non fu portato avanti solo da Mori per conto di politici e governanti, ma anche dagli uomini dei servizi segreti. C’era una strategia della tensione molto più complessa e complessiva che affondava le radici nella destra eversiva e nella massoneria.
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10 Giugno 2017, 06:00