31 Marzo 2015, 16:26
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Dunque il colpevole è Marco Zambuto, reo di Berlusconità aggravata, colto sul fatto di un appuntamento a Palazzo Grazioli. A nulla valsero le giustificazioni personali. Egli è colpevole di intelligenza col nemico, di avere organizzato, ovviamente da solo, le note primarie di Agrigento – quelle del Patto del Nazareno con le sarde, tra Pd e Fi – di avere portato sulle spalle il vincitore, Silvio Alessi, anche lui reo di Berlusconità (quest’ultimo addebito – scusino gli inquisitori – appare un filino surrealista, se non altro perché viene difficile immaginare che qualcuno su questa terra possa caricarsi il sunnominato Alessi sulle spalle).
Egli, Zambuto, è il massimo colpevole e ha pagato il fio con tardive dimissioni. Nelle note primarie di Agrigento non ci furono segretari, nobiluomini del Pd, presidenti della Regione, alleati di passaggio, uomini di fatica a corollario di un evidente obbrobrio: ha fatto tutto Marco; a lui, a lui solo, pernacchie e carbone.
Povero Pd. Che una volta, era sempre un partito di corridoi, di congiure e pugnali, di vicoli angusti e maleodoranti. Ma almeno, ogni tanto, saltava fuori qualcuno capace di prendersi le responsabilità, per dire: abbiamo fatto una minchiata. Povera tradizione di centro-sinistra che – almeno, una volta – coltivava sezioni, territorio e fotocopie di passione civile. Ora, non più. Ora, le cosiddette primarie di popolo si sono ridotte a una corrida del notabilato, una consorteria di pissi pissi bau bau tra un orecchio e l’altro, che gli stessi notabili hanno dovuto rinnegare, scegliendo poi il mascariato di turno per la crocifissione.
Appare chiarissimo il deficit politico che porta a una considerazione: il taumaturgico renzismo, venuto a miracol mostrare, in Sicilia non funziona tanto bene, se gli sgomenti elettori del Partito Democratico sono costretti a ingurgitare bevande indigeribili. L’elenco – che sarebbe lungo – comincia con la madre di tutti gli avvelenamenti: la persistenza a Palazzo d’Orleans del presidente Rosario Crocetta, uno che sta tranquillamente governando sulle macerie prodotte dalla sua rivoluzione, col beneplacito dei piddini. Ogni tanto c’è chi fa la faccia feroce, si discetta di commissariamento, si catapultano assessori al Bilancio su assessori al Bilancio…
Ma proprio questa riproduzione continua di assessori di rito romano non è indice di attenzione, semmai ha il crisma dell’abbandono. Il senso di Renzi per la Sicilia somiglia – gradita una smentita nei fatti – al sentimento di un monarca nei confronti di una provincia lontana e irrilevante, da affidare a un proconsole con l’anello di commissario soft. Un granaio, una riserva di caccia al tacchino, un’inezia nell’agenda di un monarca in altre faccende affaccendato. Anche il ‘pasticcio di Agrigento’, nel certificare una clamorosa omissione, offre il segno dell’irrilevanza e dell’assenza di quella politica che sarebbe il campo per seminare speranza e futuro.
Un particolare che risalta e che ormai i più acuti osservatori inquadrano. Ha scritto Antonio Polito sul ‘Corriere’: “Nel Mezzogiorno Renzi è un estraneo. Ci si fa vedere anche poco, per la verità. E comunque non c’è una regione meridionale dove si possa dire che abbia cambiato verso al suo partito. I governatori e gli aspiranti governatori del Pd sono tutti esponenti di un’altra epoca, che traggono la loro forza dal sistema di consenso costruito sul territorio e che sono al massimo tollerati, non certo scelti, dal centro. Crocetta in Sicilia, Emiliano in Puglia, Oliverio in Calabria, De Luca in Campania: niente di più lontano dalle camicie bianche, l’ e-govern ment e i talk show. E dietro di loro si agita il solito coacervo di potentati locali”.
Insomma, ci vuole altro che un proconsole muscolare, dal cognome continentale, per riverniciare il corso delle cose.
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31 Marzo 2015, 16:26