20 Agosto 2013, 06:00
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CATANIA – Nel bagno dell’ospedale con un ago e un elastico per procurarsi fuoriuscite di sangue, “artifizio” con cui riusciva ad aggravare le sue condizioni di salute e ottenere in questo modo gli arresti domiciliari. La Procura guidata da Giovanni Salvi è riuscita, attraverso intercettazioni e telecamere nascoste, a inchiodare il boss ergastolano Maurizio Zuccaro, uomo di vertice del clan Santapaola indagato per l’omicidio di Vito Bonanno e di Gino Ilardo.
Il personaggio – Zuccaro, cognato di Salvatore Santapaola (SCHEDA), nonostante le condanne definitive per associazione mafiosa e l’ergastolo per l’omicidio di Massimo Giordano e Salvatore Vittorio, ha trascorso gran parte della pena ai domiciliari tra le comodità della propria casa o all’interno di rinomate cliniche catanesi. E su questo modo di “scontare” la pena, ci sono due scuole di pensiero: la prima comprende i racconti dei collaboratori di giustizia Salvatore Chiavetta e Angelo Mascali, secondo i quali “Zuccaro è solito accentuare la gravità delle sue condizioni di salute al fine di riacquistare la libertà”; la seconda invece comprende le istanze della difesa, quasi sempre accolte dal tribunale, secondo cui “Zuccaro è incompatibile con la detenzione carceraria”.
La svolta – La magistratura etnea, negli ultimi 20 anni, non è riuscita mai a incastrare il boss mafioso Zuccaro, in grado, mentre era in “terapia”, di accumulare un patrimonio da 30 milioni di euro, secondo gli investigatori, gestendo direttamente gli appalti delle più importanti cooperative che lavorano negli ospedali catanesi. Giovanni Salvi ha coordinato le indagini affidate a due dei migliori magistrati in sella alla Dda Etnea: Antonino Fanara e Pasquale Pacifico. I magistrati avevano un compito non facile: accertare se Zuccaro si provocasse lesioni per alterare i valori ematici allo scopo di ottenere gli arresti domiciliari. Ai primi di agosto l’indagato, che era detenuto a Bicocca, ha avuto una crisi ed è stato trasferito d’urgenza al reparto di Ematologia del Ferrarotto per una trasfusione di sangue. La Procura ha disposto l’installazione delle telecamere che hanno filmato tutto. Le registrazioni sono state raccolte e portate dai pm davanti ai giudici dove lo scorso otto agosto si doveva decidere proprio sul ripristino della misura di custodia cautelare in regime ospedaliero per Maurizio Zuccaro.
L’ordinanza. Il Tribunale di Catania presieduto da Enza De Pasquale ha rigettato il ricorso presentato dai legali di Maurizio Zuccaro, indagato per l’omicidio di Vito Bonanno e Gino Ilardo, con cui avevano impugnato l’ordinanza emessa dal Gip di Catania che disponeva il ripristino della custodia cautelare in carcere in sostituzione della misura dei domiciliari in ospedale. Zuccaro, dunque, rimarrà in carcere in quanto è stato documentato dalla Procura, attraverso dei filmati, che l’indagato affetto da “emopatia anemizzante” cercava di aggravare le sue condizioni di salute “mediante – è scritto nell’ordinanza – auto salasso”.
Zuccaro, il 20 marzo scorso, era stato destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere perché ritenuto dalla Dda di Catania responsabile del delitto di Vito Bonanno ammazzato davanti all’Etna Bar nel 1995. Su disposizione del Tribunale del Riesame l’indagato era stato trasferito dal carcere di Milano Opera, prima al civico di Milano e poi al reparto di Ematologia del Ferrarotto di Catania, ma lo scorso luglio la relazione medica firmata dal primario evidenziava “un miglioramento delle condizioni di salute che permettevano le dimissioni del paziente per la prosecuzione della terapia in regime ambulatoriale”. I pm, a quel punto, hanno chiesto e ottenuto dal Gip la misura cautelare in carcere. A questa si è opposta immediatamente il collegio difensivo di Maurizio Zuccaro.
I filmati. L’8 Agosto, si è svolta l’udienza camerale davanti al Tribunale del Riesame, nel corso della quale i pm Antonino Fanara e Pasquale Pacifico hanno presentato una serie di filmati registrati pochi giorni prima nell’ospedale dove era ricoverato l’indagato per un aggravamento delle sue condizioni di salute. I carabinieri del Nucleo Investigativo, su disposizione della Procura diretta da Giovanni Salvi, avevano piazzato nella stanza del Ferrarotto delle telecamere. Nel corso “dell’intercettazione – si legge nell’ordinanza del Tribunale – Zuccaro è stato visto eseguire operazioni di auto salasso, procurandosi egli la fuoriuscita di sangue dal polso sinistro (in due riprese del 5 agosto) e da zone del corpo prossime all’inguine (in due distinti momenti il 6 agosto ed in altre due occasioni il 7 agosto)”. La durata dell’auto salasso “era variabile dagli 8 ai 20 minuti (dipendeva dalla parte interessata)”.
A supporto dei video è stata effettuata una perquisizione nella stanza e sono stati trovati diversi braccialetti elastici, usati da Zuccaro in sostituzione del laccio emostatico, di un ago da siringa e di un accendino. Inoltre è stata rilasciata una certificazione medica nel quale si attesta la presenza nel paziente di piccole lesioni cutanee non dovute ai prelievi effettuati nel corso del ricovero.
Le dichiarazioni di Zuccaro. L’indagato nel corso dell’udienza ha reso delle dichiarazioni spontanee e ha ammesso le azioni di auto salasso. “Ho cercato di aggravare la mia situazione – ha dichiarato ai giudici – perché sono stanco di tutti questi trasferimenti e delle perizie e di essere tanto lontano dai miei familiari”.
La difesa. Gli avvocati, nel corso dell’udienza, hanno evidenziato in primo luogo il grave quadro clinico del loro assistito “incompatibile con il regime detentivo in carcere” e, dopo che i pm hanno depositato i filmati registrati al Ferrarotto, hanno eccepito l’inutilizzabilità dell’esito delle intercettazioni ambientali. Uno dei legali, l’avvocato Giuseppe Rapisarda, si è anche rivolto al loro consulente di parte che ha spiegato come l’auto salasso provoca solo un accelerazione dei tempi dell’abbassamento dei valori e non altera la gravità della patologia. I difensori di Zuccaro hanno quindi insistito sulle argomentazioni normative che si fondano sulla “priorità” a garantire “il diritto di salute” documentate dalle note depositate nel corso dell’udienza.
Le motivazioni del Tribunale. Nell’ordinanza il presidente Enza De Pasquale ripercorre in maniera sistematica e cronologica il quadro clinico di Maurizio Zuccaro, anche attraverso le varie perizie mediche disposte dal tribunale. In particolare il giudice si sofferma su quella documentazione che portò il Riesame a concedere gli arresti ospedalieri il 17 giugno 2013. Zuccaro soffre di due patologie: paraparesi da poliradicolonevrite infiammatoria demielinizzante cronica e emopatia anemizzante. Mentre per la prima non esistono elementi di incompatibilità con un regime carcerario in un istituto penitenziario con annessa una struttura ospedaliera per seguire la terapia, per la seconda invece secondo il perito il centro clinico era inadeguato soprattutto per fronteggiare le “emergenze trasfusionali correlate alle crisi di anemizzazione acuta”.
Crisi che si ripetevano a distanza di breve periodi dalle trasfusioni e che “avevano indotto i sanitari – si legge nell’ordinanza – a ipotizzare manovre di auto salasso”. Dall’analisi della documentazione e dai vari riscontri investigativi la conclusione del tribunale è che “i gravi e frequenti episodi di anemizzazione riscontrati al detenuto trovino ragione esclusiva nelle operazioni di auto salasso”. L’aggravamento delle sue condizioni, dunque, secondo i giudici sono da imputare alle lesioni provocate dallo stesso Zuccaro registrate attraverso le telecamere installate al Ferrarotto e che, nel corso dell’udienza, sono state anche confermate dal detenuto. A questo punto il tribunale, rigettando il ricordo presentato della difesa, ha confermato la misura cautelare in carcere, “salvaguardando” contestualmente “le ragioni di cura – si legge nel dispositivo – comunque esistenti attraverso l’inserimento in una struttura carceraria munita di centro di assistenza sanitaria”.
Il commento di Giovanni Salvi – Il Procuratore Capo è soddisfatto, sa bene che con quest’indagine “viene lanciato un segnale importante a tutta la criminalità organizzata”. Ma soprattutto, l’ordinanza del Riesame “mette fine – spiega Salvi a LiveSiciliaCatania – all’impunità che ha consentito di evitare la detenzione in carcere di questo personaggio”.
A quasi due anni dall’insediamento Giovanni Salvi ha inflitto colpi senza precedenti dalla cupola di Cosa Nostra catanese. Sotto il suo coordinamento è stata eseguita l’operazione Fiori Bianchi con 77 arresti che hanno azzerato le principali squadre di estorsione nell’hinterland etneo, sono stati sequestrati beni per 30 milioni di euro ai fratelli Caruso, sono stati svelati dopo oltre un decennio i killer del delitto di Gino Ilardo (tra questi Maurizio Zuccaro), il principale testimone, ucciso dalla mafia, nella trattativa Stato-mafia. E ancora, non si contano le operazioni che hanno sgominato la mafia militare catanese, a partire dalle famiglie che reggevano Librino e le aree di confine tra il centro storico e il famigerato “tondicello della Playa”. Salvi, poi, ha cambiato completamente rotta per quanto concerne le misure patrimoniali, anche di prevenzione, e nella gestione dei beni confiscati alla mafia.
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20 Agosto 2013, 06:00