Le vite perdute dei bambini

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07 Dicembre 2014, 07:38

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Eravamo bambini. Abbiamo conosciuto un tempo in cui la vita era importante, perché lo erano i nostri sogni. Siamo stati passeggeri nell’avventura di Peter Pan. Con lui abbiamo volato sopra i campanili della nostra felicità, bimbi sperduti della meraviglia e della bellezza. Poi quella luminosità ci ha abbandonato. Ci siamo ritrovati in un mondo che offre variazioni di grigio. Adesso, nel tempo del massacro dei bambini perduti, voltiamo la faccia al loro dolore.
L’appello recente della devastazione è immediato. Giorgia, lasciata lì, a morire, in un cassonetto a Palermo. Loris, strangolato e gettato via a Santa Croce Camerina. Nel primo caso, il contesto è stato appurato, nel secondo, le indagini danno un elemento in più ogni giorno. Sulla scena risalta l’unico dato sicuro: la nostra lontananza.

Siamo distanti. Non ci appartengono le lacrime per l’infanzia massacrata. Non abbiamo pianto abbastanza. Altre sono le emozioni che hanno incendiato la passione dei grandi, attizzata dalla rappresentazione mediatica.

C’è la rabbia che conduce alla forca del colpevole o presunto tale. Più che sul delitto, ci soffermiamo sul castigo ed è una tendenza che genera legittimi sospetti. Chi si accanisce nella richiesta feroce di punizione del reo (o presunto tale), chi vorrebbe vedere la sua testa mozzata, chi inonda i sentieri del web di impiccagioni virtuali, linciaggi e squartamenti, di solito percepisce in sé una colpa grave di cui non riesce a perdonarsi. Perciò tenta di colmare il vuoto che avverte con la violenza a portata di Facebook.

C’è la morbosità. A Santa Croce Camerina, per la storia di Andrea Loris, è stato montato un set permanente al servizio di un reality. Siamo diventati protagonisti di una simulazione, nell’ebbrezza del dettaglio putrido. Abbiamo assaporato l’orrore, togliendo il nocciolo del dolore, per gustarlo meglio. Il Dursismo – categoria dello spirito e dello spettacolo – esiste, perché esistono i dursisti che si abbeverano alla fonte del macabro, nella finzione di una giustizia che non sperimentano. Siamo più vicini all’indicibile piacere dei guardoni che talvolta, in zone nascoste, è il nostro sentimento nudo al cospetto dello scempio.

Loris, sua madre, suo padre, il nonno, i cittadini di Santa Croce, non più persone che ci sono o ci sono state: figuranti e comparse, ombre pronte all’inquadratura. Certi cronisti hanno raccontato la vicenda, onorando il mestiere, informando i lettori, esprimendo emozioni umane con delicatezza e sobrietà, non barattando l’etica per uno sguardo in più. Ma c’è stato anche un patto, stretto tra alcuni narratori – di immagini, di parole, di palpiti – e alcuni osservatori in platea che hanno rinunciato alla misura della dignità, nello stesso frangente in cui si sono trasformati gli uni in spacciatori di mutandine, gli altri in pubblico.

C’è la freddezza, infine, che è il nucleo preciso dell’indifferenza in giorni talmente adulti. Non abbiamo pianto davvero, non a sufficienza, per Giorgia e per Andrea Loris. Siamo riusciti appena a mimare la commozione, con tutte le scale del nostro grigio, a metterci accanto, intorno al fuoco della televisione e del pc. Ci siamo visti soli come non mai, niente di serio da dire, niente di profondo da comunicare, a parte uno sgomento indefinito, una avvolgente mancanza di senso che non sappiamo nemmeno esprimere.

Eppure da bambini imparammo le cose fondamentali, che abbiamo dimenticato. Sulle spiagge, in estate, raccogliendo conchiglie, scoprimmo che la bellezza e la meraviglia, il dono di stupirsi delle emozioni, di gioire e di soffrire, compongono un tesoro da conservare in tasca. Ci venne in mente, per esperienza diretta, che ogni conchiglia smarrita, strappata via dalla risacca, è un lutto inconsolabile, una ferita che non si rimargina. Ma oggi non abbiamo abbracci né carezze per Loris e per Giorgia. Non batte un cuore sotto lo show. Oggi non riusciamo a trattenere le vite perdute dei bambini, trascinate via dalla corrente.

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07 Dicembre 2014, 07:38

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