Leonforte, portò al suicidio un commerciante: usuraio condannato - Live Sicilia

Leonforte, portò al suicidio un commerciante: usuraio condannato

Ad aprile scorso la Dia aveva confiscato beni per 5 milioni all'imprenditore 54enne Ettore Forno
PROVINCIA DI ENNA
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LEONFORTE (EN) – Prestò soldi a tassi elevatissimi a un commerciante leonfortese che nel 2010, in preda allo sconforto per la grave situazione finanziaria che aveva irrimediabilmente compromesso la sua azienda, si tolse la vita.

A distanza di oltre 10 anni è stato condannato dalla Corte di Cassazione a due anni e mezzo Ettore Forno, usuraio di 54 anni, l’imprenditore a cui ad aprile 2021 la Dia di Caltanissetta aveva confiscato beni per 5 milioni di euro (CLICCA QUI PER LEGGERE).

Il verdetto dei supremi giudici respinge il ricorso dei suoi legali, gli avvocati Fabio Lattanzi e Angelo Vicari, e fa sì che la sentenza diviene definitiva. L’imputato è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali, 3 mila euro in favore della cassa delle ammende, e alla rifusione delle ulteriori spese di costituzione delle parti civili, assistite nei vari gradi di giudizio da un collegio di legali composto dagli avvocati Nunzio Buscemi e Marco Milazzo del foro di Enna, Giacomo Butera del foro di Caltanissetta e Pierfrancesco Buttafuoco del foro di Catania.

Passa in giudicato dunque una sentenza che ha riconosciuto anche una provvisionale ai familiari del commerciante vittima, che ancora l’imputato non ha pagato, a cui dovrà sommarsi il risarcimento danni, da quantificarsi in sede civile. Si chiude così, con l’affermazione della responsabilità penale, una brutta storia d’usura maturata nel cuore della città di Leonforte. Le indagini partite dalle coraggiose denunce dei familiari della vittima, si ricorda, hanno portato a un’inchiesta condotta dalla Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta. E successivamente, come detto, a Forno furono confiscati beni per un valore stimato di 5 milioni di euro, comprendenti quote di partecipazioni in 11 società, bar, imprese, un negozio, 17 immobili tra cui una lussuosa villa con piscina in territorio di Nissoria e vari terreni a Catania, rapporti bancari e polizze assicurative.

“La condanna è un chiodo definitivo su una verità processuale che è solo uno spicchio della verità storica e che, per quanto nelle mie possibilità, non dovrà mai più riguardare altri”, è il primo commento del figlio della vittima, la cui brillante e certosina attività di ricerca e indagine si è conclusa con una denuncia circostanziata, la cui valenza viene confermata in via definitiva dal pronunciamento della Cassazione.
“Ora si apre una fase nuova – prosegue – emotivamente complicata, in cui dovrà essere raccontata la triste, scomoda, nuda e cruda verità, per onorare la memoria di chi non c’è più e per diradare quel grigiore, latente nella mente di coloro che assumono comportamenti di compiacenza. L’indifferenza equivale a contiguità, non a neutralità. Ieri a me, oggi a te, domani a chissà chi. Questa non è neutralità ma connivenza”.

Va ricordato che su Forno pende una nuova richiesta di rinvio a giudizio per altri prestiti, da oltre 200 mila euro, sempre nei confronti della stessa vittima, risalenti al 2006 e 2007, che sono venuti allo scoperto solo dopo il processo che si è appena concluso. Anche riguardo a quei prestiti, è accusato di aver applicato tassi d’interesse ben al di sopra della soglia di usura. L’udienza preliminare riprenderà il prossimo 7 aprile a Enna. La Procura di Enna aveva chiesto l’archiviazione, ma il gup ha disposto l’imputazione coatta, a seguito del ricorso presentato dai familiari della vittima.


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