08 Settembre 2010, 10:10
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(rp) Troppi conti non tornano nell’esecuzione di via Cimabue 41, nei tre colpi sparati a bruciapelo contro Silvio Pellicanò, un geometra tranquillo, un uomo puntiglioso, forse eccessivamente per i gusti di qualcuno. Se c’è una colluttazione per rapina (una delle ipotesi avanzate), di solito, la vittima urla. I condomini hanno sentito solo gli spari. Qualcuno ha fatto in tempo ad ascoltare pure l’invocazione del moribondo alla moglie e l’ha riferita ai cronisti: “Elena, Elena, mi hanno sparato”. E’ mai possibile che non ci sia una traccia rumorosa di un bandito nell’androne con l’arma spianata, delle sue intimazioni, delle comprensibili grida d’aiuto di Pellicanò e del e successivo corpo a corpo? Sicurezze? No, dubbi legittimi.
Gli inquirenti stanno valutando con molta attenzione, adesso, la pista della lite condominiale. Pellicanò ha posteggiato ed è stato freddato da un solo colpo, su tre, al polmone. La sottrazione del borsello con venti euro sarebbe una messinscena. Non sovrapponiamo certezze che sarebbero malposte al lavoro di polizia e magistrato. L’ipotesi della rapina per quanto atipica è ancora in piedi e ogni sviluppo è in agguato. Tuttavia, diciamo che l’ipotesi della vendetta di un vicino di casa, per una causa, per una controversa interpretazione del parcheggio o per un alterco in ascensore, non ci pare ideologicamente campata in aria. I tranquilli palazzi di una città sono pentole a pressione. Basta un nulla, basta un’occhiata storta per provocare la deflagrazione di antichi, banali e perciò tremendi, rancori. E’ la semplicità dell’odio che spesso si arrampica e prospera sulla pianta di una forzata intimità.
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08 Settembre 2010, 10:10