17 Aprile 2015, 11:22
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PALERMO – “I nomi che farò oggi sono di persone capaci di tutto, possono entrare nelle carceri e uccidere simulando suicidi e morti naturali. Sono loro che dirigono la politica e cercheranno di togliermi di mezzo come volevano fare con lei, dottor Di Matteo”. Esordisce così il pentito messinese Carmelo D’Amico, teste al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il collaboratore di giustizia sta rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo.
Il pentito messinese, ex capo provinciale di cosa nostra, è sottoposto al programma di protezione, ma ha detto di temere per la propria vita e per quella dei suoi familiari che, ancora, non sono stati trasferiti in località protetta. D’Amico, che si è autoaccusato di una trentina di omicidi e ha parlato di un progetto di attentato a Di Matteo, ha anche rivelato di essersi pentito dopo la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco.
“Il boss Rotolo mi rivelò che, spinti dai Servizi i ministri Mancino e Martelli si rivolsero a Ciancimino, tramite Cinà, per arrivare a Riina e Provenzano”. Lo ha rivelato il pentito Carmelo D’Amico deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. “Riina – ha continuato – non voleva accettare i contatti, poi fu convinto da Provenzano e insieme scrissero alcuni punti come quelli sull’alleggerimento delle normative sui sequestri dei beni”.
“Il boss Nino Rotolo mi rivelò in carcere che i mandanti delle stragi di Falcone e Borsellino erano Andreotti, altri politici e i Servizi segreti che volevano governare l’Italia”. Lo ha rivelato, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito messinese Carmelo D’Amico, che con il capomafia palermitano Rotolo ha condiviso la detenzione nel carcere milanese di Opera.
“Finora non ho detto tutto per paura. temo per me e per la mia famiglia, ma se mi tutelate, dico tutto”. Lo ha detto il pentito Carmelo D’Amico che sta facendo rivelazioni inedite sulla trattativa Stato-mafia. Il presidente della corte d’assise, davanti alla quale il collaboratore depone, lo ha invitato a dire tutta la verità, assicurandogli protezione per sé e la famiglia.
“Nino Rotolo mi rivelò che Provenzano non si è mai mosso da Palermo durante la latitanza perché era protetto dai carabinieri del Ros e dai Servizi segreti”. L’ha detto, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Carmelo D’Amico riferendo le presunte rivelazioni del capomafia Nino Rotolo. “Avevo paura di parlare dei Servizi – ha aggiunto – per questo non l’ho detto prima e ho chiesto un nuovo interrogatorio”. “Non so se il Ros ha avuto un ruolo nella trattativa, ma ha coperto la latitanza di Provenzano”, ha concluso.
“La condanna a morte di Di Matteo era stata decretata da Cosa nostra e dai Servizi perché stava arrivando a svelare rapporti costanti ed era peggio di Falcone”. Lo ha rivelato, dicendo di averlo appreso in carcere, il pentito messinese Carmelo D’Amico.
Il pentito ha riferito anche che i Servizi che inizialmente volevano uccidere anche l’ex pm Ingroia avevano mandato a Provenzano l’ambasciata di uccidere i due magistrati. Ma il boss non voleva più le bombe e allora si decise di procedere con un agguato. “I boss Nino Rotolo e Vincenzo Galatolo – ha aggiunto D’Amico – aspettavano in carcere la notizia dell’omicidio di Di Matteo, ma avevano deciso che ciò non fosse accaduto, avrei dovuto pensarci io una volta uscito dal carcere”.
(Fonte ANSA)
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17 Aprile 2015, 11:22