02 Giugno 2012, 09:58
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Stopars. Avevamo ragione noi. Al netto dei dubbi sulla effettiva efficacia della campagna per mandare a casa il parlamento siciliano, a prescindere dalle accuse di chi ci imputa una insana voglia di fare politica, oltre perfino il fastidio che alcuni provano, perché – dicono – ci siamo concentrati su una questione infinitesimale, mentre intorno il mondo crolla.
Anche la Sicilia crolla. In preda agli appetiti voraci dei suoi potenti. Incatenata alla volontà di una casta con la sindrome del Titanic: prima dello schianto, proviamo almeno a salvare l’argenteria. Casta è parola che chi scrive non ama. Troppo semplicistica. Troppo crudele nei confronti di coloro – e ce ne sono – che fanno la politica per passione, con altruismo. Tuttavia, al punto in cui siamo, la definizione è indifferibile. Gli scenari raccontati da Accursio Sabella mostrano la pervicace necessità di un regno che sta tentando di prorogare se stesso con una corsa pazza verso l’elemosina, la prebenda, da sfruttare per l’imminente sfida elettorale.
L’iceberg è già in vista sulla tolda del Titanic-Ars. Ed è forse umanamente comprensibile che si cerchi la scialuppa più vicina, che chi è in preda al terrore di un ritorno alla vita civile da perfetto Carneade organizzi un salvataggio nelle pieghe, la mossa della disperazione. Solo che è uno spettacolo disdicevole l’affollarsi di tanti metaforici topi che vogliono abbandonare la nave con la garanzia di poterci tornare sani e salvi.
Stopars. Avevamo ragione noi nel proporre una campagna etica al cospetto di una politica che si lascia guardare per ciò che è. E continueremo con forza, per raggiungere quel fatidico numero 46, soglia della decenza e della dignità.
Nessun giornalista indignato, interessato, fazioso, appena onesto saprebbe immaginare con tanta forza la scena che si rappresenta sotto gli occhi di tutti. E c’è poca innocenza, nell’età dell’indecenza. Siamo alla sceneggiata tromboneggiante del signor onorevole che cuce i suoi discorsi nobili in pubblico – per la verità sempre più affievoliti – e privatamente conteggia il risultato dell’ultima vendemmia.
Non siamo innocenti nemmeno noi. I siciliani non sono migliori dei satrapi che li governano. Nell’estrema abbuffata c’è già qualcuno del popolo che prova a cavarne un tornaconto personale. Briciole, d’accordo, pur sempre utili in tempo di vacche affamate. Siamo inerti, sconfitti e rassegnati. Certo, ogni tanto ci salta su la mosca al naso. Ma non siamo in grado di comportarci da cittadini, elettori e sorveglianti del potere, con la responsabilità che ciò comporta. Al massimo ci concediamo un quarto d’ora di rabbia. E mai di domenica.
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02 Giugno 2012, 09:58