18 Febbraio 2017, 06:30
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Caro (si fa per dire) ‘cocainomane’, o consumatore sporadico, della porta accanto,
Ma quando è successo? E perché è accaduto? Magari sei uno che ha tutto: una bella macchina, una bellissima moglie che ami, una casa accogliente, uno sguardo lungimirante e accorto, gli occhi attenti di chi non azzarda mai un passo su un sentiero sdrucciolevole. Allora, perché lo hai fatto? Dov’è che sei inciampato? Come è accaduto, dunque, che tu fossi sulla bocca di un’intera città che non vede l’ora di sapere chi sei?
Una premessa. Qui riecheggia appena un’ipotesi letteraria e generica, un’entità misteriosa, dal volto coperto, giacché non conosciamo né te, né il tuo nome, pur avendo orecchiato il contesto. Non sei qualcuno in particolare che si declini in carne, sangue e moralità. Ogni riferimento è puramente casuale, come suol dirsi e non intercetta alcun profilo concreto. Tuttavia, se ti riconoscessi in questo specchio, forse, potresti anche rifletterci un po’ su.
Secondo la diceria mediatica della notissima inchiesta di cui tutti sanno molto, eri il brillante protagonista di certe sere palermitane, di certi sballi, quando bastava un colpo di telefono affinché scrupolosi corrieri della polverina bianca recapitassero il dovuto a chi di dovere. Su quel palco – dicono – ti muovevi da uomo esperto, con l’anima griffata. Un mattatore? Forse, più spesso, per metafora, un Re Mida che afferrava con le mani la sua epopea scintillante, golosa di suggestioni, quanto immangiabile: il bagliore effimero, infatti, non compone nutrimento. E chi non mangia ha fame. Ecco il sommario e sempre modificabile ritratto sociologico che traspare, suddiviso per identità ignote.
E chi ha fame è divorato da un topo invisibile che scava nel cacio delle sue apprensioni. Morde, il dannato roditore, il compagno di viaggio dai denti aguzzi. Sussurra, all’orecchio, cose molto seccanti.
Ti dice che è dolce stare sul palco, sotto i riflettori del prestigio, ma poi arriva un momento in cui sei solo e il languore si fa sentire. Fatalmente, rintocca l’ora delle ombre, quando capisci che sei abitato pure tu da scantinati bui che si accompagnano a terrazze luminose, che i selfie col cellulare di ultima generazione non indovinano la parte più sincera, che, nel clamore più assordante, si nasconde l’eco di una solitudine senza riparo. Accade così per tutti.
Sei inciampato per questo? Perché ritenevi insopportabili i rosicamenti del topo? Solo tu puoi dare una risposta. Solo tu sai se la polverina era lo stratagemma di scena, il sostegno che ti serviva per risalire sulle assi dell’apparenza, dopo essere precipitato, dietro le quinte, nella trappola della nudità.
Solo tu puoi avere il coraggio di sfruttare la disavventura e porre fine per sempre a una tale rappresentazione di te stesso, accettando la sincerità e i rimorsi di ogni ripostiglio. Fallo, se credi. Renderai un servizio, principalmente, alle tue giornate.
Piccola nota a margine: non è davvero uno spettacolo edificante, quello al momento in cartellone nel grande teatro stabile di una Palermo che ha già seppellito la narrazione della legalità redentrice e condivisa, sotto la cronaca pietrosa di un commercio illegale, più diffuso di ogni altro anelito.
E poi c’è il popolo della forca che si strugge perché cerca i nomi degli acquirenti del coca-center. E non li trova. E vorrebbe conoscerli, non per senso di giustizia, ma per appenderli più in alto sul patibolo dello sputtanamento social. Sai che goduria ravvisare il profilo del misconosciuto pippatore nelle fattezze del vicino di casa? Sai che pettegolezzi atroci e gustosi?
In mezzo ci sei tu, con i tuoi sbagli, con il tuo terrore, con la tua fiducia rosicchiata dal topo. Tu, nella città dei Re Mida, del prestigio e dei prestigiatori, padrone di quasi tutto e angosciato dal niente. Ma non è mai troppo tardi per ammazzarlo quel sorcio e per tornare a respirare un profumo lontano di primavera.
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18 Febbraio 2017, 06:30