09 Marzo 2022, 16:32
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CALTANISSETTA – “Vincenzo Scarantino aveva difficoltà espressive che si traducevano in un italiano non elegante, non forbito, ma non ricordo sospensioni durante gli interrogatori. Non ho mai registrato circostanze simili. Sicuramente nessuno gli suggeriva niente”. A parlare di Vincenzo Scarantino (il falso pentito che nel ’92 si era accusato di aver preso parte alla strage di via D’Amelio, rivelando alcuni particolari, per poi ritrattare tutto nel ’98) è l’avvocato Lucia Falzone, per anni legale dello stesso Scarantino, sentita oggi come teste nell’udienza relativa al depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.
“Durante gli interrogatori c’era solo un generico invito – ha continuato Falzone, rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto – a dire la verità. A fronte di alcune risposte che Scarantino dava il magistrato cercava, come è normale, di puntualizzare o fare domande. Dopodiché non c’era nessuna anomalia. Il comportamento delle persone che hanno operato alla mia presenza è stato irreprensibile”. Il processo vede imputati tre poliziotti – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino, che indagò sull’attentato in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Secondo l’accusa avrebbero indotto Scarantino a fare false rivelazioni allo scopo di depistare le indagini“.
“Se Scarantino fosse stato in possesso dei verbali sicuramente gli avrei chiesto come li aveva avuti. Era concentrato solo sulle sue lamentele personali e le sue problematiche familiari – ha continuato l’avvocato Lucia Falzone -, la paura che lo ammazzassero o che gli ammazzassero i familiari”.
“Quando Scarantino era eccessivamente in crisi – ha affermato l’avvocato – diceva ‘do un pugno al piantone così vado in galera e si risolve tutto’. Nei meandri della testa di Scarantino non era semplice entrare. Non sono una psichiatra, ma l’idea che mi dava Scarantino è che era un soggetto fragile ma nei limiti”.
Poi la teste si è soffermata sul confronto tra il mafioso Salvatore Cancemi e l’ex collaboratore avvenuto nel febbraio 2015. “Ho avuto la sensazione – ha continuato – che l’atteggiamento, il modo, di porgersi, rivelasse in Cancemi quello che era: un personaggio con un ruolo apicale nell’ambito dell’organizzazione mafiosa. Cosa che non era riscontrabile in Scarantino, per l’atteggiamento più passivo, la proprietà di linguaggio limitata. Scarantino non fu sopraffatto dai contenuti del confronto quanto invece dalla personalità e dal ruolo di capo di Cancemi, mentre lui si professava un gregario”.
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09 Marzo 2022, 16:32