Nella fortezza del boss

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26 Ottobre 2011, 13:17

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Una fortezza a Librino, periferia di Catania divenuta cuore pulsante dello spaccio e del traffico d’armi. Dietro l’arresto del latitante Giovanni Arena ci sono anni e anni d’indagine coordinati dal capo della squadra mobile Giovanni Signer, che ha ascoltato, col fiuto dell’abile investigatore, ore e ore di intercettazioni con “un numero di attività tecniche spaventoso”. Una vera e propria guerra tra investigatori e mafiosi che aveva come epicentro il viale Moncada 5, zona calda in cui i dipendenti comunali sono stati presi letteralmente “a calci nel sedere” per aver osato tagliare una siepe davanti alla casa del boss. Nessuno pronunciava il nome di Giovanni Arena, lo chiamavano “Zio” e i suoi figli, divenuti capi del quartiere, non parlavano mai di lui in macchina né in casa.

Arena era a capo di un’organizzazione che controllava traffico di droga e di armi ed è stato fregato dal sottofondo di un’intercettazione a carico della moglie e di altri familiari: si sentiva la sua voce. Fondamentale il ruolo del pm Francesco Testa e del reggente Michelangelo Patanè: “il boss Arena si trovava dentro un doppio fondo costituito all’interno di un armadio”. Una vera e propria “bara” all’interno della casa, il mafioso non si è mosso mentre gli investigatori martellavano, e lo hanno trovato con una pistola carica e una videocassetta accanto.

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“Abbiamo iniziato a fare terra bruciata – dice il pm Pasquale Pacifico – da circa 10 anni indagando su tutti i suoi famigliari e arrestandoli”. Col tempo la famiglia degli Arena è transitata dai Santapaola al clan Sciuto Tigna, come ha raccontato il mensile “S” nel numero di settembre 2011, grazie all’intervento del boss Sebastiano Fichera. Basti pensare che uno dei figli di Arena, Agatino, è stato condannato come affiliato al clan Sciuto Tigna e non al Santapaola.

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26 Ottobre 2011, 13:17

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