07 Marzo 2015, 06:00
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TRAPANI- Un sacerdote, non uno qualsiasi ma il presidente della Caritas diocesana, sotto inchiesta perché avrebbe chiesto favori sfruttando il proprio ruolo nella commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Non soldi né opere di bene in cambio, ma – secondo l’accusa – atti sessuali. Un vescovo, l’ex capo della diocesi di Trapani, sotto inchiesta perché – ancora secondo i magistrati – avrebbe sottratto soldi dalla “cassa” delle opere di carità. Tempi duri per la Chiesa trapanese, sconvolta da tre indagini che la colpiscono al cuore. Ai segreti di queste inchieste è dedicato un approfondimento sul nuovo numero di “S”.
La prima inchiesta riguarda don Sergio Librizzi, che secondo l’accusa approfittava del bisogno degli extracomunitari. L’ex presidente della Caritas dal 30 marzo sarà sotto processo (con rito abbreviato davanti al gup Cavasino) per i reati di concussione e violenza sessuale. La seconda riguarda i conti della Curia: l’ex vescovo, monsignor Francesco Micciché, è indagato per appropriazione indebita e malversazione di fondi pubblici (i soldi provenienti dall’8 per mille): secondo i magistrati della Procura di Trapani, l’ex capo della Curia avrebbe fatto la “cresta” sui finanziamenti destinati alle opere di carità.
C’è altro. Accadrà altro. Le indagini su don Librizzi e sul vescovo Miccichè hanno un filo nemmeno tanto sottile che li lega ad un’altra eclatante indagine giudiziaria che tocca altrettanto “pesantemente” la Curia trapanese, quella che vede indagato con altre 13 persone, professionisti e anche giornalisti, l’ex direttore della Curia don Ninni Treppiedi. Indagini su appropriazione indebita, falso, ma anche stalking e calunnia. Tanti sono i comuni denominatori.
L’ultima indagine è quella più scottante. Il vescovo Micciché viene chiamato in causa per non avere usato centinaia di migliaia di euro per opere di carità. Dopo la perquisizione nella sua villa, una lussuosa residenza con tanto di piscina, in parte a quanto pare usata come “bed & breakfast”, il sacerdote è stato indicato come un soggetto parecchio avvicinabile dalla politica e da certi politici. Dentro ai faldoni secretati ci sarebbero le storie relative a chiese che non si potevano costruire, di imprenditori che costruivano chiese e lavoravano nelle proprietà private di sacerdoti e strani contatti telefonici. Stando alle indagini, quando bisognava parlare col vescovo alcuni politici avrebbero avuto l’abitudine di chiamare il cellulare di un altro sacerdote della Curia, vicino al vescovo, che si sarebbe preoccupato di passare poi l’apparecchio telefonico al vescovo. Un’altra persona chiamato in causa è Orazio Occhipinti, che sarebbe stato un altro factotum del vescovo. Nel giorno della perquisizione subita da Micciché, identica sorte è toccata anche a lui.
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07 Marzo 2015, 06:00