L’importanza della cooperazione| fra le forze dell’ordine

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01 Dicembre 2009, 16:25

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Nella rete di fiancheggiatori, riconducibili alla famiglia bagherese, del padrino Bernardo Provenzano arrestati all’alba di oggi anche i due fedelissimi del boss, Leonardo e Agostino Ficano, padre e figlio, che avevano reperito la macchina da scrivere utilizzata dall’ex capo di Cosa Nostra e rinvenuta nel suo rifugio di Montagna dei Cavalli, dove nell’aprile del 2006 era stato catturato. E’ uno dei particolare forniti dal Capo della Squadra Mobile di Palermo Maurizio Calvino nel corso della conferenza stampa di stamane durante la quale sono stati resi noti ulteriori particolari sull operazione “Crash” condotta in maniera congiunta dai carabinieri del reparto operativo del Comando provinciale di Palermo e da agenti della Squadra Mobile della Questura che hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere ,emessa dal gip Piergiorgio Morosini su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 11 appartenenti al mandamento bagherese. Di questi solo uno, Onofrio Morreale, era già detenuto, mentre alcuni degli altri dieci erano stati rilasciati da poco. “Questi arresti sono di grande importanza perchè riguardano la famiglia mafiosa di Bagheria da sempre in prima linea nella protezione della latitanza di Provenzano”-ha commentato il Procuratore aggiunto del pool antimafia Ignazio de Francisci- che ha pure ricordato come alcuni degli uomini d’onore finiti in manette stamattina “continuassero a svolgere un servizio permanente effettivo, nonostante la cattura di Provenzano, data la natura sostanzialmente federativa di Cosa Nostra”. Calvino ha, invece, definito “punti nodali del sistema di smistamento dei pizzini ideato da Provenzano” alcuni dei presunti componenti delle famiglie mafiose di Bagheria e Villabate. Il Capo della Squadra Mobile, fornendo alcuni particolari sulle indagini, costituite soprattutto da lunghi ascolti telefonici e intercettazioni ambientali con microspie piazzate nel deposito di autodemolizioni sulla strada statale 113, alla periferia di Bagheria, divenuto punto d’incontro fra gli indagati e gestito da Leonardo Castello insieme al figlio Simone, arrestato a Murcia in Spagna dalla Guardia Civil. Dal contenuto delle conversazioni captate dagli inquirenti sono state, inoltre, ricostruite alcune circostanze riferibili ad estersioni messe in atto dai bagheresi fedelissimi di Provenzano che avevano nelle attività legate all’autotrasporto il centro nevralgico dei loro affari illeciti. “Abbiamo potuto individuare grazie agli ascolti-ha proseguito Calvino- il ruolo specifico del Pipia Franco (52 anni, di Bagheria, uno degli 11 finiti in carcere) che gestiva i proventi delle estorsioni e gli introiti derivanti dal controllo dell’attivita legata agli autotrasportatori, fungendo da supervisore di tutti i traffici illeciti riguardanti quel territorio”. Altro fronte delle indagini che hanno permesso di condurre in porto positivamente l’operazione “Crash”, quello riguardante la detenzione illecita di armi: ” dalle captazioni ambientali e telefoniche-ha aggiunto il numero uno della mobile palermitana-abbiamo ricostruito i termini di un sistema di custodia e traffico di armi, tra cui anche alcuni kalashnikov, che però non sono state ancora localizzate e che pertanto potrebbero essere ancora nella disponibilità dell’organizzazione mafiosa”.Tra le conversazioni intercettate più significative, quella in cui si fa cenno alla macchina da scrivere utilizzata da Provenzano durante la sua latitanza: “in una delle captazioni telefoniche analizzate-hanno spiegato gli inquirenti-si parlava delle preoccupazioni legate all’eventuale rilevamento di impronte digitali sulla macchina rinvenuta nel covo di Montagna dei Cavalli, e per questo uno dei mafiosi suggeriva di pulire la macchina da scrivere”. Il colonnello Paolo Piccinelli comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri, ha, invece, sottolineato l’importanza della cooperazione internazionale con la Guardia Civil spagnola, che ha portato all’arresto di Simone Castello, nome di spicco dell’inchiesta che nasce all’epoca della cattura di Provenzano, che “lavorava per una società di import/export di prodotti ortofrutticoli in Spagna, mantenendo però rapporti con altri esponenti mafiosi della provincia siracusana.

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01 Dicembre 2009, 16:25

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