29 Dicembre 2017, 14:41
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PALERMO – Francesco Guttadauro e Massimo Niceta avevano solo rapporti di lavoro. Il primo era un dipendente del secondo. Nessun interesse commerciale in comune o, peggio, nessuna intestazione fittizia per nascondere gli interessi mafiosi della famiglia Guttadauro.
Ecco perché la sezione di appello per le Misure di prevenzione conferma la sorveglianza speciale per Francesco Guttadauro, ritenuto socialmente pericoloso, ma restituisce a Massimo Niceta il 50 per cento della società che gestiva due negozi ormai chiusi all’interno del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano. Niceta rientra in possesso del 100 per cento della Nica srl, visto che la metà gli era già stata restituita in primo grado come chiesto dagli avvocati Roberto Tricoli e Salvino Pantuso. Si tratta dell’appello della sentenza emessa dal Tribunale di Trapani. La decisione odierna potrebbe incidere sull’altro procedimento di prevenzione che i Niceta hanno in corso a Palermo.
I giudici di appello non accolgono la ricostruzione dei colleghi di primo grado, i quali avevano stabilito che ci fosse una società fra i Niceta e i Guttadauro. Solo che avevano affidato per competenza territoriale la valutazione della posizione degli imprenditori ai giudici palermitani che affrontano il capitolo più grosso degli affari.
La sentenza, infatti, è il primo troncone che riguarda gli imprenditori Niceta, titolari di una serie di negozi di abbigliamento passati in amministrazione giudiziaria. Ne resta aperto ormai soltanto uno. I sequestri sono stati due: uno proposto dal questore di Trapani e il secondo frutto della indagini della Procura di Palermo e deciso dalle Misure di prevenzione palermitane quando presidente era Silvana Saguto, oggi indagata e sospesa dal Csm.
Il processo incardinato a Trapani riguardava i negozi “Blue Spirit” e “Niceta Oggi” all’interno del centro commerciale costruito da Giuseppe Grigoli, il braccio operativo di Matteo Messina Denaro. Secondo l’accusa, i Niceta avrebbero fatto da paravento al boss Filippo Guttadauro, padre di Francesco, per consentirgli di aprire i due negozi, da affidare ai figli ed evitare la mannaia del sequestro.
Filippo Guttadauro, finito in carcere con l’accusa di essere l’ambasciatore del cognato Matteo Messina Denaro nei rapporti con Bernardo Provenzano, era stato intercettato in carcere mentre chiedeva alla moglie Rosalia, sorella del latitante, e al figlio notizie sull’apertura delle attività commerciali. Fu Francesco Guttadauro ad inviare un sms a Massimo Niceta: “ciao Massimo, sono Francesco Guttadauro. Io domani devo scendere a Castelvetrano x sbrigarmi cose mie. Ci vediamo direttamente la x le 11.00 la ok?”. Risposta: “ Ok… ti chiamo quando arrivo…”.
Sulla base di queste intercettazioni, secondo il tribunale di Trapani, che aveva trasmesso gli atti a Palermo, venivano fuori i comuni interessi fra i boss e Niceta. Sul punto, però, i giudici della Corte d’appello, presieduta da Patrizia Spina, ritengono che la decisione si sia basata su “termini congetturali e manifestamente illogici”. Il Tribunale si è basato sugli stessi elementi, senza approfondirli, che erano costati ai Niceta un’inchiesta penale archiviata però nel 2009. Le uniche novità erano rappresentate dalla condanna per mafia, nel frattempo, inflitta a Francesco Guttadauro e dalle dichiarazioni di Angelo Niceta, cugino di Massimo.
Nel primo caso, secondo i giudici di appello, si è dato per assodato che Francesco Guttadauro si fosse attivato per le “mire espansionistiche” dei Niceta alla luce del rango mafioso che la condanna in sede penale gli ha attribuito. Un perito aveva pure ipotizzato che nei negozi si vendesse merce in nero per passare i soldi ai Guttadauro. Ipotesi smentita dalla relazione dell’amministratore giudiziario che ha trovato corrispondenza fra la merce in magazzino e le fatture di consegna, ma che, in ogni caso, non può bastare da sola a giustificare l’accusa.
Non c’è dubbio che Francesco e Maria Guttadauro (entrambi i fratelli lavoravano nei negozi Niceta) si fossero attivati per rendere concreto l’investimento di Massimo e Piero Niceta e che questi ultimi avessero un rapporto di fiducia con i Guttadauro. I Guttadauro, però, e non ci sono convergenze investigative per sostenere il contrario, vedevano nell’apertura dei due negozi esclusivamente un’occasione di lavoro.
Sulle accuse di Angelo Niceta il collegio è molto critico. “Le dichiarazioni di Angelo Niceta – si legge nel provvedimento – non oggetto, nell’impugnato decreto, di alcun vaglio di intrinseca attendibilità soggettiva ed oggettiva, pur essendosi segnalato che, su alcuni punti del suo riferito, vi era smentita documentale – hanno, a loro volta, perso ogni ogni rilievo nell’ambito del non corroborante quadro accertativi sopra descritto, rilievo questo già di per se alquanto minimale in considerazione dell’oggettiva inapprezzabile informativa di un’accusa arrestatasi alla sola assertiva e generica affermazione che i suoi cugini Niceta erano soci morali e soci occulti al 50% con i Guttadauro… in definitiva, alla luce di tutte le argomentazioni sopra svolte, va escluso che siano emersi gli indizi di sussistenza della fattispecie criminosa del trasferimento fraudolento di valori sub specie di occulto rapporto societario tra i Guttadauro e Niceta Massimo”.
“Mi piacerebbe leggere perché si dia ancora credito a un testimone di giustizia che anche dai suoi profili Facebook – spiega Massimo Niceta – continua a screditare la mia famiglia. Non siamo mafiosi e questo appare chiarodalla archiviazione del 2009 e dalla sentenza della Corte di Appello. In nome di un fantasioso sospetto è stata distrutta l’ennesima realtà produttiva palermitana”.
Il collegio di appello ha anche deciso la restituzione di un conto corrente intestato a Maria Guttadauro e di un fabbricato di Francesco Guttadauro. Il suo legale, l’avvocato Luyigi Miceli, ha fatto emergere che era stato comprato con i soldi della vendita di un altro immobile.
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