22 Luglio 2018, 05:02
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CATANIA – Un’indagine è pur sempre una pietra d’inciampo, per chiunque. Per un successore dei dodici apostoli, in particolare. Appunto per questo trattiene a mala pena fastidio e imbarazzo, monsignor Salvatore Gristina. L’arcivescovo di Catania non ci sta affatto a subire gli eventi: non vuole che la sintesi del suo episcopato possa rimanere vincolata all’iscrizione nel registro degli indagati per peculato in merito alla gestione dell’Opera diocesana assistenza, l’Oda. A denti stretti, ma lo dice: in attesa “che nelle sedi competenti, venga acclarata l’assoluta legittimità del proprio operato, ho massimo rispetto nei confronti dell’autorità giudiziaria…”.
Rompe il silenzio con un’uscita concisa, essenziale, diplomatica. E non poteva essere altrimenti, non fosse altro che Gristina proviene dalla diplomazia vaticana e la militanza nelle nunziature in Costa D’Avorio, Trinidad e Tobago e Brasile. La partita stavolta è ancor più delicata perché lo riguarda personalmente e non capita tutti i giorni infatti che la massima autorità morale della città debba in qualche modo giustificarsi d’innanzi al procuratore della Repubblica. Ma almeno in Sicilia questa evenienza non è più una novità: lo dimostrano le recenti indagini sulla diocesi di Mazara del Vallo (già archiviata) e contro l’ex vescovo di Trapani monsignor Francesco Micciché.
Intanto laici e credenti attendono di saperne di più, di capirci qualcosa. Perché la sassata è arrivata, anche se non abbastanza forte da rompere il parabrezza diocesano. La declinazione di quanto sia grave il presunto reato di peculato, ha ammortizzato la percezione della botta, soprattutto a livello popolare. Nessuno si straccia le vesti, anzi. In Curia quasi come non fosse successo nulla. Tra i più leali alla cattedra – soprattutto via social – c’è chi si stringe però attorno a Gristina senza se e senza ma, perché nel pensare cattolico l’istituzione è sempre superiore ai suoi interpreti. In generale, sono i silenzi al momento a prevalere. Si trattasse di altre vicende – di un ennesimo Caso Spotlight – si sarebbero registrate ben altre reazioni di massa.
Tutto tace, quindi. Benché il clamore di questi ultimi anni attorno alla vicenda Oda aveva già lasciato intendere che prima o poi a piazza Giovanni Verga sarebbe stato aperto un fascicolo. Una vicenda scivolosa le cui premesse vengono da molto lontano. Gli strappi al vertice dell’Ente, le inchieste giornalistiche e le agitazioni dei lavoratori, arrivati a stazionare per giorni fuori dell’Arcivescovado (prima) e a occupare la Cattedrale (poi), avevano già scatenato sciami di nervosismo.
Che sia Salvatore Gristina responsabile morale di questo cortocircuito, non saranno però i tribunali a deciderlo, semmai gli storici. Salvo sviluppi inattesi, nel giugno del 2021 dovrà rimettere il pallio nelle mani del papa. Per volontà di Paolo VI, infatti, all’età di 75 anni anche i vescovi vanno in pensione. Altri tre anni a Catania, quindi. Un’avventura iniziata nel 2002, quando dalla diocesi suffraganea di Acireale, subentra a Luigi Bommarito. Un vescovo fortemente mediatico, popolare. Amato. Sotto la cui gestione l’arcidiocesi divenne metropolitana. Ma l’atto qualificante resta tuttavia un altro, la visita di Giovanni Paolo II nel 1994, il primo papa sotto il Vulcano nel secondo millennio cristiano. Tuttavia la stagione Bommarito lasciò della polvere sotto il tappeto e secondo le attese di una parte consistente del clero, Gristina aveva tutte le carte in regola per rimettere ordine nella Chiesa etnea. Nel seminario arcivescovile, nella stessa Oda e nella festa di sant’Agata.
Entrando a Catania Gristina dettò subito la linea pastorale sulla scorta dell’insegnamento del mentore, il cardinale Salvatore Pappalardo: improntare l’episcopato “ad un particolare rapporto con la gente”. Parlò di “comunità”, di “corresponsabilità del presbiterio”, della “centralità della parrocchia” e dell’eredità del beato Pino Puglisi. Un buon inizio. Negli ultimi anni però sembra che il rapporto con la città sia deteriorato, quasi interrotto. E non è soltanto per l’ars oratoria che non rientra tra i suoi carismi più evidenti. Questioni di carattere, ritenuto da chi gli ha lavorato accanto decisionista, scarsamente empatico, poco paterno. Voci di sagrestia riferiscono di lacerazioni all’interno del corpo sacerdotale. Un spaccatura che neanche la nomina a vicario generale, avvenuta nel gennaio 2014, del “saggio e stimato” monsignor Salvatore Genchi è riuscita a ricomporre.
Intanto la visita pastorale annunciata nel 2009 è ancora in corso. Sul fronte della “reconquista” della festa di sant’Agata sono stati registrati segnali di sicura discontinuità rispetto al passato, sulla scorta anche dei casi giudiziari circa le presunte infiltrazioni nella stessa festa e la morte del devoto Roberto Calì avvenuta nel 2004, e dell’iniziativa del parroco della cattedrale Barbaro Scionti. Con monsignor Gaetano Zito preside dello studio teologico San Paolo, la distanza tra Chiesa e i mondi della cultura, dell’editoria e delle altre religioni era stata accorciata. Persino nella gestione dell’emergenza migranti, l’azione della Comunità di sant’Egidio in particolare ha permesso di esportare l’immagine di “Catania città accogliente”. Ma la comunicazione di tutti questi risultati – a detta dei più attenti e non solo – non vede l’arcivescovo quale protagonista.
Anche nella gestione del caso di don Pio Guidolin, arrestato lo scorso dicembre con l’accusa di violenza aggravata su minori, la comunicazione ad extra non è stata delle più efficaci. Perché nel momento il cui il presbitero era stato soggetto a misura cautelare, di fatto la Chiesa catanese aveva preso per tempo dei provvedimenti ad hoc sulla scorta del proprio ordinamento, tant’è che i tribunali vaticani avevano già emesso una condanna di primo grado nei suoi confronti. Un eccesso di prudenza, forse. Qualora l’arcidiocesi avesse dato immediata informazione agli organi di stampa del giudizio canonico in corso, l’iniziativa di Gristina avrebbe avuto ben altra eco e sarebbe stata percepita assai più in linea con il profilo intransigente del papa sul contrasto della pedofilia nel clero.
Il papa, appunto. Il 15 settembre Francesco atterrerà proprio a Catania, ma per andare prima a Piazza Armerina e poi a Palermo in occasione del venticinquesimo della morte del beato Puglisi. Nessun incontro sotto il Vulcano, neanche un saluto alla città. Un segnale da leggere in filigrana, appunto perché l’arcivescovo di Catania è anche il presidente della conferenza episcopale dell’Isola. Che i rapporti tra i vescovi siciliani e quello di Roma non siano oliati lo sottolineano due iniziative dello stesso Francesco una volta eletto: la porpora all’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, all’indomani del viaggio a Lampedusa, rompendo la consuetudine di Palermo sede cardinalizia; e la nomina di Corrado Lorefice, “un parroco”, ai vertici della chiesa della capitale siciliana. Quello di Gristina e Francesco è un rapporto ancora tutto da declinare. Di certo c’è che se dovesse essere rinviato a giudizio, sarà il Papa a decidere sul futuro prossimo della Chiesa catanese. A lui dunque lo scettro della decisione.
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