04 Novembre 2016, 19:51
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PALERMO – E’ tornato nelle cronache siciliane suo malgrado in questi giorni Nicolò Marino. Il magistrato che Rosario Crocetta volle sulla scottante poltrona di assessore a Energia e Rifiuti all’inizio della sua avventura, poi mollato dal governatore dopo le sue uscite scomode e “antisistema”, è stato condannato nei giorni scorsi per avere diffamato gli imprenditori Giuseppe e Lorenzo Catanzaro, a cui fa capo la discarica di Siculiana.
Marino, che era entrato in una durissima polemica con Giuseppe Catanzaro, vicepresidente della Confindustria siciliana, è stato condannato perché nel corso di una riunione con esponenti sindacali e di categoria, a novembre 2013, avrebbe detto che i Catanzaro sarebbero stati prestanome di Provenzano. Il giudice civile di Agrigento aveva già condannato Marino a risarcire con 45.000 euro i Catanzaro per gli stessi fatti. Fatti che richiamano alla memoria un momento in qualche modo cruciale della stagione politica del crocettismo, quello dell’inizio dell’implosione della retorica antimafia e legalitaria e del fronte ad essa connesso.
Un cortocircuito di cui si ebbero i primi segnali proprio con lo scontro, durissimo, tra l’allora assessore magistrato e Catanzaro e con lui la Confindustria, all’epoca considerata vicinissima a Crocetta, tanto da avere in giunta un proprio rappresentante. Quello scontro, incentrato sul peso mostruoso delle discariche nel sistema malatissimo dei rifiuti in Sicilia costò alla lunga la poltrona a Marino, che rimase al suo posto finché Crocetta non lo sostituì al primo rimpasto utile. Per tornare a fare il magistrato, in continente.
Fu in quel contesto che l’assessore dispensò una raffica di attacchi pubblici a Catanzaro, tirando in ballo anche il nome di Provenzano. A sproposito, dicono oggi nelle sentenze di primo grado i colleghi giudici, secondo i quali, insomma, a Marino la polemica sfuggì di mano. Quella polemica proseguì anche dopo l’uscita di scena dell’assessore. Che all’indomani della defenestrazione proprio a Livesicilia rilasciò una durissima intervista in cui derubricava a finzione non solo l’antimafia confindustriale ma anche quella di Crocetta. Che Marino tornò ad attaccare in altre interviste e nelle sue audizioni presso le commissioni parlamentari che a vario titolo hanno indagato sul maleodorante e disastrato sistema dei rifiuti in Sicilia. Nel frattempo l’autorità giudiziaria indagava sulle autorizzazioni alla discarica di Siculiana (su cui Marino si era soffermato un un’audizione parlamentare) arrivando all’archiviazione per Catanzaro. E adesso altri giudici si pronunciano in favore dell’imprenditore censurando l’ex assessore. Una piccola vicenda emblematica però del grande impazzimento di quella maionese legalitaria e antimafiosa che per vie diverse aveva accompagnato nella giunta Crocetta sia Marino sia la Confindustria (con Lo Bello prima e Montante poi), e che oggi sembra solo un ricordo sbiadito.
Dopo quegli scontri, al di là delle sentenze, restano tutti i ritardi e i disastri di un sistema che continua a essere fondato sulla discarica e sul business a essa legato che da anni ingrassa le poche imprese del settore. Un sistema contro il quale Marino si schierò da assessore cercando correttivi, sia attraverso la creazione di altre discariche pubbliche, sia spingendo verso gli impianti di compostaggio a cui destinare parte della differenziata (ma delle risorse per questi ultimi sotto la sua gestione poi finanziarono le discariche). Battaglie condivise, almeno in principio da Crocetta, prima che i rapporti con Marino degenerassero. Il magistrato che voleva farsi politico attaccò duramente la lobby degli industriali accusandola di voler difendere lo status quo e, dopo la sua uscita dal governo, anche il governatore, quest’ultimo per la gestione “approssimativa” non solo del settore di sua competenza.
Proprio sul tema delle regole Marino era già entrato in rotta di collisione con Crocetta (e la sua maggioranza) a proposito dell’eolico, e il tempo gli diede ragione. Sempre riguardo alle regole interpretate in modo approssimativo, Marino parlò di “giunte colabrodo” in cui “entrava chiunque”. Dispensando giudizi tranchant su tre quarti di Palazzo in una lunghissima arringa a puntate sui giornali (e nei verbali delle commissioni parlamentari) in cui era per lo meno arduo scorgere il confine tra l’opinione del politico (o ex politico) e le reminiscenze investigative del pm, mescolate in un unico calderone, schema non insolito negli incroci tra magistratura e politica.
Ne ebbe per tutti Marino. Per la Confindustria siciliana e i suoi vertici in primis (prima delle notizie sulle inchieste penali) e per Crocetta, definito “amorale”: “La mia presenza lo offuscava”, disse tra l’altro a La Sicilia l’ex assessore, che stroncò anche altri protagonisti del crocettismo che lo aveva portato al governo: dalla “inadeguata” Patrizia Monterosso alla “anima nera” Beppe Lumia, dalle ex colleghe in giunta Mariella Lo Bello e Nelli Scilabra (“Crocetta voleva un assessore testa di legno”) e ancora per il suo successore Calleri e via discorrendo.
Di certo, insomma, l’ex assessore è uno che non le manda a dire. Pure troppo, per i colleghi che lo hanno condannato per le frasi su Catanzaro. Non per l’Antimafia di Rosy Bindi, che più volte, ascoltando Crocetta in una caotica audizione nello scorso agosto (degenerata in disfida su chi aveva il curriculum antimafioso più lungo), ha ripetuto di voler sentire Marino per parlare delle sue “dimissioni” (mai date, per la precisione). La notte dei lunghi coltelli dell’antimafia, insomma, non è ancora finita. Proprio come il disastro dei rifiuti siciliani.
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04 Novembre 2016, 19:51