L’incredibile silenzio | su rapine, assalti e aggressioni

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15 Marzo 2014, 06:30

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Un imprenditore viene affrontato da finti finanzieri che lo chiudono nel portabagagli di un’auto e lo rapinano. Un altro subisce l’assalto sotto casa. Lo minacciano. Vogliono che apra il portone e la porta che custodisce i suoi familiari, l’ultimo diaframma prima della resa. Lui pensa a moglie e figli e scopre, sotto i panni abituali e tranquilli, un coraggio da leone. Sopporta uno scontro che lo rende malconcio, ma riesce a salvare i suoi. Queste trame da film degli anni Settanta-Ottanta con Maurizio Merli nella parte del commissario accadono quotidianamente a Palermo. Provengono dalla cronaca. E interrogano qualcuno sulla sostenibilità di un surplus di violenza giunto a livelli inaccettabili. Qualcuno dovrebbe proprio rispondere. Già, ma qualcuno chi? Perché questo è il particolare che colpisce oltre la rabbia e lo stupore per fatti di cronacaccia che ci riportano indietro di anni luce. Chi si prende la responsabilità di porre rimedio al degrado o perlomeno di esprimere vicinanza e solidarietà, immaginando – se non è troppo – una via d’uscita?

Invece regna sovrano il silenzio che precipita gli inermi in una totale sindrome di abbandono. Le istituzioni solitamente assai loquaci nel promettere cose che non possono mantenere ingrossano le file degli assenti. La politica non mette al centro del suo dibattito la sicurezza. Le rapine con ingredienti drammatici si susseguono. Non si contano gli assalti agli anziani. I turisti vengono depredati e feriti. E tutto tace, in sede ufficiale – a prescindere dal lavoro sotterraneo degli inquirenti – come se non ci fosse nemmeno la forza di sollevare un filo di polvere di retorica. Come si risolve un problema a Palermo? In due modi: risolvendolo, appunto, o rimuovendolo. Nel caso specifico – e in molti altri casi – ci pare che la seconda opzione sia decisamente in campo.

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Eppure non è possibile trattare i racconti di aggressioni selvagge alla stregua di eventi ordinari. Non lo sono. Siamo davanti a un’escalation che si allarga agli scippi, ai furti di macchine, agli agguati contro gli studenti fuorisede. E possiamo inventarci tutta la sociologia che vogliamo, chiamando in causa la crisi, i giorni difficili, il controllo che Cosa nostra in difficoltà non mantiene più sul suo territorio. Ci sarà l’occasione per scrivere pensose analisi e partecipare a intelligenti tavole rotonde. Ma qui la richiesta è un’altra. E’ necessario garantire la certezza del diritto, principio che, tradotto in azioni, suona così: è obbligatorio proteggere il cittadino, fare in modo che possa rincasare senza la paura costante di un brutto incontro. E’ urgente provvedere, perché il sentimento collettivo e dell’appartenenza si basa soprattutto sul reciproco riconoscimento di forza. Se siamo tanti, siamo maggiormente saldi. E’ la legge primaria della comunità. Valeva per le carovane di pionieri che attraversavano le terre desolate del West. Vale per la carovana dei nostri problemi e delle nostre speranze, sottoposta a una desolazione presente e continuata.

Non è facile vivere a Palermo. Né è semplice essere palermitani, sopportare gli affronti di una capitale decaduta, povera, invivibile, sporca e derelitta. Non è facile per i palermitani buoni che sono innocenti. Intendiamo aggiungere al diffuso senso di precarietà il terrore e favorire il ricorso alla difesa personale degli inermi? Preferiamo che si rimpianga la mafia di una volta, con la sua capacità di garantire l’ordine? Perché è già un retro-pensiero disgustoso che tormenta le coscienze delle persone perbene. Vogliamo che Palermo sia sporca come la Palermo di oggi e pericolosa come la Milano degli anni ruggenti? Qualcuno potrebbe alzare un sopracciglio e intervenire? Qualcuno dei residenti nell’alto dei cieli, nella schiera di coloro che sono eternamente salvati, potrebbe illuminarci? Sarebbe un netto miglioramento scoprirci ancora cittadini da tutelare e non soltanto vittime predestinate di un’ombra nascosta davanti al portone di casa.

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15 Marzo 2014, 06:30

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