La deposizione di Di Giovanni | “Di questa mafia non ne so parlare”

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20 Febbraio 2013, 22:42

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PALERMO – “Io di questa mafia non ne so parlare, secondolo lei mi metto a fare il mafioso a 59 anni con figli e nipoti?”. Sono queste le dichirazioni spontanee rese stamane da Antonino Di Giovanni, collegato in video conferenza dal carcere di Rebibbia a Roma con la seconda sezione della corte d’appello di Palermo nell’ambito del processo Nuove alleanze. Antonino Di Giovanni è uno degli imputati nel processo che ha preso le mosse dall’omonima operazione condotta dalla Dia che nel 2010 portò all’arresto di nove persone facendo luce sul tentativo di alleanza tra le famiglie mafiose di San Lorenzo, Tommaso Natale e Acquasanta. In primo grado il gup Giovanni Francolini inflisse oltre 130 anni di carcere ai dodici imputati accusati, a vario titolo, di mafia, estorsioni e intestazione fittizia dei beni. Secondo l’accusa Antonino Di Giovanni, indicato come il nuovo capo della cosca dell’Acquasanta, aveva scelto la sede di un’attività di rimessa e servizi per barche – la “Di Giovanni servizi nautici” – nel porticciolo dell’Acquasanta di Palermo, come sede dei summit mafiosi. Lì Di Giovanni e il suo braccio destro Francesco Lo Cicero, avrebbero pianificato affari e progettato alleanze con gli esponenti mafiosi dei quartieri occidentali della città. Il presunto boss dell’ Acquasanta che oggi si è detto estraneo a Cosa nostra in primo grado fù condannato dodici anni di carcere. Quattordici anni e 8 mesi vennero inflitti, invece, a Giuseppe Biondino considerato il capomafia di San Lorenzo oggi in collegamento in aula dal carcere di Novara. Nel corso dell’udienza la Corte ha accolto la richiesta avanzata dal procuratore generale Umberto De Giglio della sospensione dei termini della misura di custodia cautelare di tutti gli imputati. Accolta anche la richiesta avanzata dagli avvocati della difesa di riaprire l’istruttoria dibattimentale. Nel corso della prossima udienza fissata per l’undici marzo verrà ascoltato il pentito Manuel Pasta. Le sue dichiarazioni, infatti, insieme a quelle del collaboratore Salvatore Giordano consentirono agli inquirenti di ricostruire gli organigrammi della famiglia di San Lorenzo, di scoprire il tentativo delle cosche di stringere nuove alleanze e svelare i nomi dei prestanome dei boss.

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20 Febbraio 2013, 22:42

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