31 Gennaio 2014, 12:41
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PALERMO – Le manette scattano a Cinecittà. All’uscita degli studi ci sono una volante e quattro auto civetta, per quello che ha tutta l’aria di un blitz: è così che torna in carcere una delle figure più controverse delle indagini sulle stragi, il falso pentito che per anni ha depistato il processo su via D’Amelio. Proprio per questo motivo ieri Vincenzo Scarantino era a “Servizio pubblico”: per raccontare la sua versione di quel depistaggio, per accusare un “suggeritore” del quale non ha voluto fornire l’identità di avergli messo in bocca quella falsa verità. Poche ore dopo, però, Scarantino era in manette su disposizione del gip di Torino per violenza sessuale su una ragazza affetta da disagi psichici. In mezzo, un giallo e la paura nel cuore della notte.
Perché è nel cuore della notte che questa storia inizia. La mezzanotte è passata da pochi minuti quando viene fermata l’auto che deve portare Scarantino nell’albergo romano che lo ospita. I giornalisti di “Servizio pubblico” si attaccano al telefono, prima per chiamare l’ex pentito e poi per avvisare i colleghi: “Scarantino – è l’allarme – non risponde più. Non sappiamo dove sia”. In quei momenti, in realtà, l’ex pentito è in questura a Roma, dove è stato trasportato dalla Mobile di Torino: i magistrati piemontesi lo accusano di aver abusato di un’ospite della comunità protetta nella quale Scarantino lavorava sotto falsa identità.
Poco dopo l’una, Scarantino torna in albergo. Qui viene perquisita la sua stanza e gli viene notificato l’arresto: l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dopo la denuncia della presunta vittima, che ha accusato l’ex pentito due mesi fa. Le manette, però, sono scattate intorno ai suoi polsi giusto ieri sera. Giusto dopo aver accusato Arnaldo La Barbera e il “gruppo Falcone-Borsellino” di averlo indotto a mentire, persino di averlo picchiato.
È una storia in cui il torbido affiora sempre, quella di Scarantino. Tutto comincia poche settimane dopo le stragi: Scarantino si auto-accusa di aver rubato la 126 usata per far saltare in aria Paolo Borsellino e la sua scorta, e per quasi vent’anni le sue dichiarazioni vengono prese per buone, tanto da portare a una raffica di condanne definitive. La smentita arriva però quando Gaspare Spatuzza inizia a collaborare con la giustizia: “Sono stato io – dice Spatuzza – a organizzare tutto”. Arriva la revisione del processo. Arrivano sette scarcerazioni per altrettanti imputati condannati ingiustamente all’ergastolo.
La verità, però, era sempre stata dietro l’angolo. Il 26 luglio 1995, infatti, Scarantino aveva telefonato alla redazione di Studio aperto a Palermo per raccontare di aver inventato tutto, di aver accusato degli innocenti. Poche ore dopo, però, nella redazione del tg Mediaset arriva la polizia, che sequestra le registrazioni. Scarantino ritratta la ritrattazione. La verità ufficiale, quella falsa, rimane a galla.
Qualche anno dopo, però, il nome di Vincenzo Scarantino torna sui giornali. È il ventesimo anniversario dell’eccidio, e Scarantino non si trova più: “È sparito”, gridano i giornali. Il giallo dura solo qualche giorno, però: il falso pentito viene ritrovato, e appunto inizia a lavorare nella comunità piemontese. Adesso, oltre che dall’accusa di violenza sessuale appena formulata, deve difendersi da quella di calunnia. Di aver ingannato i giudici sulla più cruenta delle stagioni italiane. “Chiediamo di assicurare l’integrità psico-fisica della ‘fonte di prova’ Scarantino”, dicono le parti civili Rosalba Di Gregorio e Giuseppe Scozzola. Martedì a Caltanissetta ci sarà un’udienza. L’uomo dei gialli e delle sparizioni dovrebbe essere lì. Ma in questa storia di depistaggi e sparizioni, di gialli e di false verità i colpi di scena non mancano mai.
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31 Gennaio 2014, 12:41