09 Febbraio 2016, 21:28
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PALERMO – Secondo quattro collaboratori di giustizia, è stato per anni in combutta con esponenti di Cosa Nostra. Antonello Montante reagisce contrattacando a testa bassa, attraverso un dossier corposo, composto da più di una dozzina di documenti. Tra questi, anche una immagine curiosa, uno “screenshot” che racconta quello che la difesa considera “un fatto decisamente insolito”: uno dei pentiti-chiave ha anche un profilo su Facebook.
Nel corso degli interrogatori, non è mai stata svelata la località dalla quale Dario Di Francesco ha reso le sue dichiarazioni ai magistrati. Curioso, però, secondo la difesa del leader confindustriale, è che chiunque possa contattare il collaboratore di giustizia sul social network.
“Un fatto decisamente insolito”: questo il commento di Nino Caleca, uno dei legali di Montante, insieme a Marcello Montalbano e Giuseppe Panepinto, che sabato scorso ha depositato al tribunale del riesame anche la “stampa” del profilo Facebook di Di Francesco con tanto di foto del collaboratore stesso e delle persone a lui vicine. Un soggetto, ricordano i leali, sottoposto a tutela non solo dell’incolumità fisica ma anche della “genuinità delle sue dichiarazioni”.
Il dossier dei legali di Montante
Insieme a quella stampa, però, due faldoni di carte e documenti. Tra questi, ad esempio, la nota riservata sottoscritta anche da Montante e presentata al Vertice nazionale sulla sicurezza tenutosi a Caltanissetta il 21 ottobre del 2013. Una nota dalla quale si evincerebbe, secondo la difesa, “come il Montante abbia individuato e denunciato non soltanto genericamente i componenti di Cosa Nostra ma specificatamente il ‘coetaneo’ Vincenzo Arnone ed il Di Francesco già a far data dal 2005”. Una documentazione poi consegnata alla commissione parlamentare d’inchiesta Antimafia sempre nel 2005. Non solo. Da un memoriale sequestrato nel corso delle perquisizioni disposte nell’ambito dell’inchiesta, ecco anche uno scambio di mail tra Montante e la Procura di Caltanissetta che svelerebbe l’intenzione del leader di Confindustria di spingere Arnone a collaborare con la giustizia”. Tra i faldoni, anche la testimonianza di alcuni imprenditori come il gelese Rosario Amarù “che ricorda – annota la difesa di Montante – di essere stato convinto e fattivamente sostenuto da Montante nelle sue denunce contro il racket”.
L’anonimo e il cantante
Nei dossier, poi, ecco anche due documenti che hanno una storia a sé. Uno di questi è il cosiddetto “anonimo”. Si tratta di uno scritto del 2014 nel quale si fa riferimento a “un cantante di Serradifalco” da ricompensare per le sue dichiarazioni contro Montante, che potrebbe essere, scrive il quotidiano milanese, proprio Di Francesco. Una ipotesi di cui sono convinti i legali di Montante, che ricordano come il collaboratore Di Francesco già nel maggio 2014 affermi, con riferimento alle minacce subite da Montante, che “si trattava di minacce che si era fatto da solo” “dimostrando – annotano gli avvocati – di ben conoscere e di condividere le medesime affermazioni già contenute nel dossier ricevuto da Salvatore Alaimo presumibilmente redatto da Tullio Giarratano e Umberto Cortese (di cui il Di Francesco era affezionato collaboratore) e da Alaimo consegnato alla D.I.A. di Caltanissetta. Un documento “finalizzato a screditare Montante”, proseguono gli avvocati che hanno anche chiesto alle Procure di Caltanissetta e Catania notizie sull’esito delle inchieste legate a quello scritto. Così, secondo la difesa del leader Confindustriale si può “ritenere che il “Cantante” che secondo il contenuto dello scritto anonimo viene foraggiato per gettare discredito e fare dichiarazioni accusatorie contro Montante possa identificarsi proprio in Di Francesco Dario”. Il cui nome torna nell’altro, “insolito” documento raccolto dai difensori di Montante. Si tratta della stampa delle schermate del profilo Facebook del collaboratore.
Le accuse a Montante
Venti giorni fa è stato recapitato al leader di Confindustria Sicilia l’avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ipotesi di reato per cui il presidente di Confindustria Sicilia è stato indagato è quella di avere messo la propria attività imprenditoriale a disposizione di esponenti mafiosi di Serradifalco, in particolare di Paolino e Vincenzo Arnone (padre e figlio, rispettivamente consigliere e reggente della famiglia mafiosa di Serradifalco, ndr) “consentendo al clan di ottenere l’affidamento di lavori e commesse anche a scapito di altri imprenditori, nonché assunzioni di persone segnalate dagli stessi, ricevendone in cambio il sostegno per il conseguimento di incarichi all’interno di enti e associazioni di categoria, la garanzia in ordine allo svolgimento della sua attività imprenditoriale in condizioni di tranquillità, senza ricevere richieste di estorsioni e senza il timore di possibili ripercussioni negative per l’incolumità propria e dei beni aziendali, nonché analoghe garanzie per attività riconducibili a suoi familiari e a terzi a lui legati da stretti rapporti”. Delitto che l’indagato avrebbe commesso a partire dal 1990.
E a sorreggere queste accuse, le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia: Pietro Riggio, Aldo Riggi, Carmelo Barbieri e, appunto, Salvatore Dario Di Francesco. Quest’ultimo, nel marzo del 2015 ha riferito dell’esistenza di fondi “neri” da destinare a “soggetti in quel momento ancora organici alla criminalità di stampo mafioso per il raggiungimento di scopi evidentemente ritenuti funzionali ai propri interessi”. È Di Francesco a raccontare a più riprese dei rapporti tra Montante e Vincenzo Arnone. “So che Antonello Montante – ha dichiarato Di Francesco – che so essere molto amico di Massimo Romano e so pure che quest’ultimo si spese molto per eleggere il Montante a Presidente di Confindustria, si è rivolto a Vincenzo Arnone affinché quest’ultimo trovasse un locale dove il Romano potesse aprire il supermercato”.
Lo stesso Arnone anni prima avrebbe spinto per l’elezione di Montante alla guida dei Giovani industriali nisseni. Un aiuto dovuto al “rapporto di amicizia – ricorda il pentito – che intercorreva tra i due. Mi consta anche che l’Arnone – aggiunge Di Francesco – per come egli stesso mi disse, aveva anche un interesse personale all’elezione del Montante poiché puntava a far avere una rappresentanza dell’associazione autotrasportatori – di cui faceva parte – nell’associazione”.
Di Francesco, in un verbale del 28 marzo 2015, riportato in un recente articolo a firma Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera,racconta che durante un periodo di libertà, fu avvicinato da Arnone, già amico di gioventù e testimone di nozze di Montante: “Per stuzzicarlo – ricorda – gli evidenziai come il suo compare fosse ormai lanciato nel mondo della legalità. L’Arnone mi rispose con un sorriso sarcastico”. Da lì, la confidenza: anni prima lo stesso Montante gli avrebbe chiesto di avvicinare proprio Di Francesco, allo scopo di fargli accusare un’altra persona. Il cui nome è nascosto nel verbale da un omissis. “Tali dichiarazioni, – annotano i legali di Montante- assolutamente generiche e prive si qualsivoglia riscontro, anche meramente indiziario, potrebbero al più dimostrare il tentativo di Montante di indurre il pericoloso reggente della famiglia mafiosa di Serradifalco a collaborare con la giustizia”.
Insomma, secondo la difesa, sarebbe avvenuto il contrario di quanto raccontato dai pentiti e il “cantante” che avrebbe dovuto screditare il leader di Confindustria era proprio Di Francesco. Lo stesso pentito denunciato già dal 2005 da Montante e che oggi punta il dito contro il leader degli industriali siciliani. Così, ecco la domanda posta anche dal Corriere della Sera: Montante davvero vicino ai boss o vittima di una vendetta? Intanto, uno dei pentiti-chiave, da località segreta sorregge le accuse al presidente di Confindustria. E nel frattempo aggiorna il suo profilo Facebook.
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09 Febbraio 2016, 21:28