17 Luglio 2017, 13:02
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Nell’agonia di fine legislatura, il governo al Senato accantona la legge sullo ius soli. Se ne parlerà dopo l’estate, ha detto il premier Paolo Gentiloni, prendendo atto delle divisioni nella maggioranza che non avrebbero permesso di approvare la norma. Divisioni che hanno una chiara paternità in Angelino Alfano e nelle sue truppe centriste, che hanno frenato.
La legge rimandata a settembre prevede che i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri che risiedono stabilmente e legalmente in Italia siano italiani. Oggi devono aspettare la maggiore età. Il diritto alla cittadinanza è riconosciuto dalla nuova norma anche ai minori che hanno completato il ciclo scolastico in Italia, se arrivati nel nostro Paese prima dei dodici anni. Un testo normativo equilibrato, ispirato a buon senso e civiltà, che si limita a prendere atto di una realtà acquisita. Basta fare un giro per le nostre città e guadare a quei figli di immigrati che studiano nelle scuole italiane, parlano italiano o magari il dialetto del luogo dove sono nati, giocano, crescono e diventano uomini e donne fianco a fianco con i figli degli italiani. Sì, al netto della propaganda che mischia la legge i questione con i bambini nati sui gommoni, che nulla hanno a che vedere con queste norme, la norma che gli alfaniani stanno congelando e che la destra ha avversato con forza, parla di qualcosa che già è.
Non abbastanza secondo Ap, il partito di Alfano in cerca di una strada per la sopravvivenza, che ha fatto la voce grossa e ora gongola. Una voce grossa tardiva e fuori luogo da parte di chi, appunto l’attuale ministro degli Esteri, è stato il protagonista delle scelte di politica estera e comunitaria che, con la complicità del cinismo dell’Ue, ha lasciato l’Italia sola a fronteggiare il fenomeno della migrazione irregolare, ottenendo in cambio di delicatissime rogne (che suscitano problemi di gestione e di coscienza) qualche spicciolo.
E così, gli alfaniani, che hanno già votato sì alla Camera e promettono di farlo anche al Senato ma dopo miglioramenti e lontano dagli apici degli sbarchi (dandola vinta così al giochino della propaganda di stampo lepenista che cerca di mettere insieme cose diverse tra loro), hanno ottenuto un rinvio da Gentiloni e un riconoscimento della propria esistenza in vita. Quella di cui nessuno si accorse quando, solo poche settimana fa, Alternativa popolare, pur avendola criticata, ingoiò la riforma Orlando della Giustizia che tra le altre cose permette di allungare a gogo i tempi già indecorosi degli italici processi, pur di serbare salda la poltrona.
Poco importa, oggi serve mostrare i muscoli. A Roma come in Sicilia. Dove gli alfaniani si sfilano almeno a parole dal Pd e rivendicano nel caos generale un proprio spazio. Tutto ancora da definire.
Alfano la mette così: “Il presidente del Consiglio ha gestito la vicenda dello ius soli con realismo, buonsenso e rispetto per chi sostiene il suo Governo. Apprezziamo molto. Al tempo stesso, ribadiamo che su questo provvedimento abbiamo già detto Sì alla Camera e lo stesso faremo al Senato dove una discussione più serena permetterà di migliorare il testo, senza che il dibattito si mescoli alla faticosa gestione dell’emergenza di questi giorni”. Una “faticosa gestione dell’emergenza” a cui oggi è impiccato il successore di Angelino Marco Minniti, figlia anche delle politiche dello stesso Alfano. Dettagli, nell’agonia politica di fine legislatura.
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17 Luglio 2017, 13:02