12 Aprile 2011, 17:18
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La vicenda giudiziaria di Raffaele Lombardo è irrimediabilmente destinata a dividere, e non solo sul fronte politico. Nei palazzi della Procura di Catania si riaccende lo scontro tutto interno alle valutazioni sulla posizione e il “destino” del presidente della Regione, in seguito alla chiusura delle indagini a suo carico all’interno dell’inchiesta Iblis. Ma andiamo per ordine: nel marzo 2010 il quotidiano “La Repubblica”, svela il coinvolgimento di Lombardo, del fratello Angelo e di altri esponenti politici, nell’indagine del Ros di Catania riguardante un sodalizio tra Cosa nostra, in particolare il clan Santapaola, e ambienti della politica e imprenditoria locale nell’affare appalti pubblici. L’accusa configurata era di concorso esterno in associazione mafiosa, anche se Lombardo dichiarò di non esserne mai venuto a conoscenza.
Iniziano a circolare voci in merito ad una richiesta di custodia cautelare per gli indagati e iniziano anche i conflitti nella Dda: l’allora procuratore Vincenzo D’Agata smentisce di avere mai avanzato tale richiesta, ridimensionando peraltro la portata dell’indagine nei confronti di Lombardo e della politica in generale. Tutto questo non farebbe storia se solo il pool di magistrati, coordinati dall’aggiunto procuratore Giuseppe Di Gennaro, non avesse completato la redazione del provvedimento a carico degli indagati col colletto bianco.A febbraio di quest’anno, ancora D’Agata, alla soglia del pensionamento, torna alla carica su Iblis chiedendo con la formula dell’archiviazione, un cambio di rotta nelle indagini di Lombardo e Co. La faccenda si impernia in un calderone di mezze parole, dichiarazioni della Procura mai completamente confermate e frecciatine tra inquirenti che rimbalzano nelle pagine di giornali fino ad oggi.
L’argomento della contesa è sempre il Presidente della Regione, ma alla luce della conclusione delle indagini che riconfermano – secondo gli inquirenti – il coinvolgimento dei fratelli Lombardo e di altri 54. La posizione viene raccolta dal procuratore reggente Michelangelo Patanè che dichiara: “Non è vero che il cosiddetto 415 bis sia prodromico in ogni caso alla richiesta di processo. In questo caso, in particolare, vedremo se e cosa il presidente avrà da portare a sostegno delle sue tesi difensive. Solo dopo decideremo se chiedere il processo o l’archiviazione”. Si dà il caso, infatti, che nell’attuale procedura penale, in seguito alla conclusione delle indagini, ai pubblici ministeri sia data la possibilità di richiedere per l’indagato il rinvio a giudizio qualora si ritenesse, il materiale raccolto durante le indagini preliminari, sufficiente a sostenere l’accusa in giudizio.
Altrimenti si apre un’altra strada, cioè quella dell’archiviazione, sempre disposta dal giudice su richiesta del Pm. Ha ragione quindi Patanè quando parla di esito incerto nella prosecuzione processuale, verrebbe però da chiedersi come mai Raffaele Lombardo e il fratello Angelo non siano usciti dall’indagine come l’ex assessore al turismo Nino Strano, che ha però sempre mantenuto una posizione marginale.
(nella foto Angelo Lombardo)
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12 Aprile 2011, 17:18