Cronaca

Il delitto della Vucciria e il caso irrisolto: torturato e giustiziato

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01 Giugno 2021, 15:18

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PALERMO – C’è un filo rosso di sangue che lega l’omicidio della Vucciria, per il quale gli investigatori della squadra mobile sono certi di avere trovato la soluzione, ad un delitto irrisolto.

Matteo e Domenico Romano, fermati oggi per l’omicidio di Emanuele Burgio, alla Vucciria, sono fratelli di Davide, assassinato nel 2011. Allora furono loro a subire la violenza di un assassino ancora senza volto, oggi invece sarebbero i carnefici.

Romano sarebbe stato torturato e assassinato in via Scippateste, ad una manciata di metri dal nuovo Palazzo di giustizia, nel cuore del rione Capo. Il pentito Francesco Chiarello disse di aver saputo che Romano piangeva e implorava pietà.

Una pietà che non arrivò. Prima lo picchiarono e poi lo uccisero con un colpo di pistola alla nuca. Non erano ancora soddisfatti: caricarono il corpo nel bagagliaio di una Fiat Uno, nudo e legato mani e piedi. Infine, lo abbandonarono in via Michele Titone, una strada residenziale nella zona di corso Calatafimi. Doveva essere un monito per tutti gli indisciplinati. Dietro il delitto la voglia di emergere di Romano nel mondo della droga. Pecoraro era grande amico del padre del mafioso del Borgo Vecchio trovato morto nel bagagliaio.

Anche il padre di davide Romano, Giovan Battista, Romano, fece una brutta fine, inghiottito dalla lupara bianca a metà degli anni Novanta perché tacciato di essere uno sbirro.

“Eravamo amici”, ha detto Chiarello ai pubblici ministeri, parlando della vittima. Provò ad evitare il peggio. Era contrario al delitto, ma non poteva opporsi. Gli ordini superiori andavano rispettati. Non tutti i tasselli investigativi sono stati, però, messi a posto. Ci sono ancora dei buchi neri nella ricostruzione e nei ruoli di chi avrebbe partecipato al delitto.

Non si è riusciti a incrociare le dichiarazioni di Chiarello con quelle di un altro collaboratore, Vito Galatolo dell’Acquasanta. Le sue sono informazioni de relato. Ha detto di avere saputo da un amico bene informato anche il nome del presunto mandante ed esecutore del delitto: “Lo zio Pietro è stato, Calogero Lo Presti”, ha spiegato. Calogero Lo Presti era il boss che guidava il mandamento di Porta Nuova. Nel 2011, anno dell’omicidio Romano, finì in cella in un blitz antimafia dei carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo. Oggi ha finito di scontare la sua pena. La vittima, ha messo a verbale Galatolo, era entrato in contrasto con lo Presti perché “comprava la droga fuori dalla borgata”. Litigavano pure “per il prezzo della droga ed aveva risposto male a Lo Presti”.

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01 Giugno 2021, 15:18

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