19 Marzo 2021, 06:00
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PALERMO – Oggi è il 19 marzo, festa del papà. Papà Vincenzo Agostino non festeggerà. Ma potrebbe tagliare la lunga barba bianca che non rade da quel 5 agosto 1989. Giorno in cui suo figlio Nino Agostino e la moglie, Ida Castelluccio, incinta di pochi mesi, furono assassinati a colpi di pistola.
Il giudice per l’udienza preliminare di Palermo Alfredo Montalto si ritirerà in camera di consiglio per decidere se accogliere la richiesta avanzata dalla Procura di Palermo di condannare all’ergastolo il boss Nino Madonia, accusato del duplice omicidio aggravato. Madonia ha scelto di essere processato con il rito abbreviato.
Sempre oggi il gup deciderà anche se rinviare a giudizio o meno un altro boss, Gaetano Scotto, pure lui per duplice omicidio aggravato, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. I due hanno, scelto, di essere giudicati con il rito ordinario.
Nino Agostino era un agente della polizia di stato. Ma era anche – è emerso dopo – un collaboratore del Sisde, il servizio segreto civile, che in quel periodo aveva organizzato una squadra per la cattura dei grandi latitanti mafiosi. Agostino era un cacciatore di mafiosi. Questa una delle ragioni dell’omicidio. Ma Agostino (con la moglie) viene ucciso pure perché aveva scoperto i contatti tra uomini delle istituzioni e i mafiosi, tra i suoi capi e quelli che lui voleva arrestare.
Lo ricostruiscono i due sostituti procuratori generali nel corso della requisitoria, al termine della quale hanno chiesto l’ergastolo per Madonia: “un omicidio efferato prova delle gravi collusioni che vi erano state e che vi
sono state anche dopo nei depistaggi tra una parte di cosa nostra e una parte della nostra intelligence che teorizzava e praticava pericolosissimi rapporti con cosa nostra”.
Nino Agostino e Ida Castelluccio vengono assassinati il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini dove arrivano, in auto, tra le 19:20 e le 19:30. Parcheggiata l’auto entrano in casa, salutano i parenti (il padre Vincenzo, la madre Augusta, le sorelle Annunziata il fidanzato, e Flora, il fratello Salvatore). Subito dopo, a piedi, vanno a casa di una cugina, dove si trattengono 10, 15 minuti. Quindi si incamminano per tornare a casa.
Alle 19:45 in prossimità del cancello di casa scatta l’agguato: sopraggiunge una moto di grossa cilindrata (un Honda Africa Twin rinvenuta bruciata poche centinaia di metri di distanza) con due uomini a bordo. Il passeggero (che secondo l’accusa è Nino Madonia) da pochi metri esplode 5 colpi di pistola calibro 38. A guidare sarebbe Gaetano Scotto.
Ida Castelluccio viene viene colpita, alle spalle, al polmone destro. Nino Agostino Antonino viene raggiunto (alle spalle) da 3 proiettili, uno di striscio all’ascella destra, gli altri due quelli che risultano letali, penetrano nella parte posteriore del torace, uno nell’emitorace posteriore sinistro ed attraversamento delle arcate costali, l’altro nella sede vertebrale toracica.
I due cercano disperatamente di trovare riparo all’interno della casa, si trascinano all’interno del cortile dove Agostino muore mentre Ida viene trasportata d’urgenza in ospedale di Carini, al suo fianco c’è la sua suocera Augusta Schiera. Nel frattempo i killer si allontanano a gran velocità, in direzione di Carini. La pistola non è mai stata ritrovata.
Secondo l’accusa, ci furono reticenze da parte di Elio Antinoro, il dirigente del commissariato San Lorenzo (che ricadeva nel cuore del mandamento Resuttana retto da Nino Madonia), che divenne una sorta di “filiale” dei Servizi per metodi e modalità di operare.
Ed ancora: l’occultamento e la distruzione di documenti da parte di Guido Paolilli (poliziotto, amico di famiglia degli Agostino); la falsa pista di un movente passionale creata dal dirigente della Squadra mobile, Arnaldo La Barbera.
“Ma ancora più significativo è l’ulteriore secondo depistaggio – ha detto l’accusa – posto in essere da La Barbera che proprio in quel periodo cercava di indurre la sua arma letale, il suo pentito Scarantino ad accollarsi la responsabilità dell’omicidio Agostino”.
Per nascondere il coinvolgimento dei Servizi segreti e le attività non ufficiali svolte da Agostino, nonché quell’intreccio di rapporti torbidi che Agostino aveva avuto modo evidentemente di verificare. Non a caso tutti gli autori delle condotte depistanti sono uomini dei Servizi o legati ai Servizi. Antinoro, contatti diretti e rapporti con Contrada. Paolilli, uomo di Contrada. La Barbera, organico ai Servizi (nome in codice Rutilius); Giovanni Aiello, più noto come faccia da mostro.
Numerosi le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia da cui emerge il contatto Madonia-Servizi segreti: Vito Galatolo, Francesco Onorato, Stefano Fontana, Giovanna Galatolo Giovanna, Vito Lo Forte. I collaboratori parlano dello stesso tema anche per quanto riguarda Gaetano Scotto: Galatolo, Onorato, Fontana e Lo Forte. Ma hanno contribuito anche Giovanni Brusca, Francesco Marina Mannoia, con i suoi amici dei Servizi segreti.
“Siamo di fronte a due collaboratori che hanno letteralmente preso in giro chi coordina le indagini. Vito Galatolo e Giovanni Brusca, nello specifico, sono totalmente inattendibili. Vito Galatolo nei primi 3 interrogatori davanti ai pm nulla sa su un fatto così eclatante. Successivamente è un fiume in piena, ma sempre con dichiarazioni de relato”, hanno detto durante l’arringa i difensori di Nino Madonia Valerio Vianello e Vincenzo Giambruno.
“Secondo l’accusa Nino Agostino viene ucciso per fare un favore agli organi di polizia che favorivano cosa nostra. Proprio quelle persone delle istituzioni, Bruno Contrada e La Barbera, che metteranno le manette a Madonia due mesi dopo l’omicidio. Il ragionamento non regge”.
I legali insistono sull’inattendibilità dei collaboratori di giustizia e sulla progressione accusatoria di Vito Galatolo, ex boss di Vicolo Pipitone e oggi pentito: “Nei primi 3 interrogatori davanti ai pm nulla sa su un fatto così eclatante. Successivamente – dice Giambruno, raggiunto dall’Agi– diventa un fiume in piena, ma sempre con dichiarazioni de relato”.
“Scotto e Madonia sono gli esecutori materiali dell’omicidio di Agostino e di sua moglie. E non poteva essere altrimenti. Poichè Madonia era stato delegato da Totò Riina – ha detto Fabio Repici. legale di parte civile – a mantenere i contatti con apparati dello Stato, polizia e servizi di sicurezza. Contatti che dovevano restare riservati e non potevano essere messi a rischio in nessun modo: per questo Nino Agostino era un ostacolo che andava eliminato. Purtroppo Nino Agostino e Ida Castelluccio sono andati consapevolmente incontro alla morte, perché avevano capito di essere diventati preda di quella ‘profanissima trinità’ della quale Nino Madonia e Gaetano Scotto erano espressione diretta: la stabile alleanza, risalente all’inizio degli anni Settanta, fra Cosa Nostra, eversione neofascista ed esponenti della Polizia e del Sisde. Nino Madonia, della ‘profanissima trinità’ è stato esponente apicale”.
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19 Marzo 2021, 06:00
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