L’omicidio Mazzè allo Zen | “Scontro fra clan per il potere”

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31 Marzo 2015, 06:10

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PALERMO – Se c’è un collegamento – ipotesi ancora non cristallizzata in un atto giudiziario – fra l’agguato a Franco Mazzè e i colpi di pistola sparati contro la casa di Michele Moceo allora c’è da tenere gli occhi aperti. Allo Zen c’è grande fibrillazione.

Da ieri è in stato di fermo Fabio Chianchiano. Sarebbe stato lui a fare fuoco, rischiando di uccidere i parenti di Moceo, nipote prediletto di Mazzè. Al momento gli viene contestato il tentato omicidio, per altro si attende ancora la convalida del Gip. Impossibile, però, non ipotizzare un collegamento fra questo episodio e la morte di Mazzè, freddato da una raffica di colpi di pistola. Quello mortale lo ha raggiunto alla testa. Di certo fra i Mazzè e Chianchiano non correva buon sangue. Eppure un tempo erano stati molti vicini, almeno così sosteneva l’accusa. Fabio Chianchiano era stato arrestato nel 2008. Il blitz era quello denominato Eos. Nel 2010 toccò a Nicola Ferrara finire in cella “per avere fatto parte del gruppo mafioso operante nel quartiere dello Zen – si leggeva nel capo d’imputazione – coadiuvando Fabio Chianchiano sino al suo arresto e poi succedendogli nella gestione di tutte le attività illecite svolte sul relativo territorio, occupandosi in particolare della gestione delle estorsioni e dei traffici di stupefacenti”.

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C’è un particolare, Nicola Ferrara era soprannominato Mazzè. Non era un caso: è sposato, infatti, con una sorella di Franco Mazzè, l’uomo ucciso domenica mattina. Allo Zen, però, il cognome Mazzè aveva un peso tanto che, per tutti, Nicola Ferrara aveva preso il cognome della moglie. Dunque, fino ad un un certo punto Chianchiano ed uno dei Mazzè avrebbero lavorato spalla a spalla. Poi, però, la convivenza sarebbe diventata impossibile. C’è chi descrive la vittima come una testa calda. Irruento e restio ad obbedire agli ordini. Forse, sussurra qualche investigatore, si era messo in testa di fare il salto di qualità criminale fino a prendere il potere allo Zen. A dispetto di chi? Chianchiano dopo un lungo processo è stato assolto dall’accusa di essere l’uomo dei Lo Piccolo nella borgata palermitana. Questo non vuol dire, però, e le indagini sono in corso, che oggi non ricopra “un ruolo di rispetto”. Inevitabile che l’agguato a Mazzè venga collegato ai colpi di pistola contro casa Moceo. Zio e nipote erano inseparabili tanto da condividere piccoli e grandi processi. Per ultimo quello in cui entrambi furono assolti dalla pesante accusa di associazione mafiosa ed estorsione. Era il luglio scorso quando uscirono indenni dal dibattimento nato dal blitz che nel 2013 avrebbe fatto emergere il racket delle case popolari.

Perché i colpi di pistola contro casa Moceo? Più che di un tentato omicidio, anche se i colpi sono stati sparati ad altezza d’uomo. Potrebbe essere stato un gesto eclatante per stoppare l’eventuale reazione di Moceo all’omicidio dello zio? Tre ore prima dell’omicidio le telecamere di un bar hanno registrato la violenta rissa fra uno tanti fratelli Mazzè e Chianchiano, preso a schiaffi davanti a decine di persone. I fatti successivi sono l’eccessiva reazione all’offesa oppure sotto si giocava una partita più grossa? Sul conto dei Mazzè non circolavano giudizi lusinghieri. Le microspie hanno captato due anni fa lo sfogo di Sandro Diele, arrestato nel blitz Apocalisse del giugno e considerato il capo del clan dello Zen. “Io i Mazzè non li voglio guardare neanche nella cartina geografica”, diceva Diele. Forse davvero la vittima dei killer aveva cercato di fare il salto di qualità? Per trovare una risposta all’interrogativo proseguono serrati gli interrogatori. Decine le persone convocate dai pm Calogero Ferrara e Sergio Barbiera al commissariato San Lorenzo.

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31 Marzo 2015, 06:10

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