13 Settembre 2012, 13:18
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PALERMO – Non ci sono tracce di sangue nella stalla nel rione Danisinni. Il box di lamiera non è stata la camera della tortura di Davide Romano, il picciotto della mafia del Borgo Vecchio ucciso e fatto ritrovare, legato mani e piedi, dentro il bagagliaio di una macchina. Almeno così non è emerso dagli accertamenti eseguiti dalla polizia scientifica.
Nel giugno scorso nella stalla di via della Rovere – una delle tante stradine fra le vie Cappuccini, Cipressi, Colonna Rotta e piazza Indipendenza – arrivarono gli agenti della sezione Omicidi della Squadra mobile. Le voci del quartiere li avevano condotti fin lì dove trovarono un coltello e una balestra. Da qui l’ipotesi che potesse trattarsi del luogo in cui Romano era stato torturato e ucciso. Nella stalla c’erano anche delle macchie rosse rilevate con la tecnica del luminol.
Non si tratta di una stalla come ce ne sono tante nella zona. Al civico 3 di via della Rovere, Calogero Lo Presti, lo zio Pietro che secondo l’accusa comandava a Porta Nuova, chiamava a raccolta i picciotti. Era il luogo dei summit. Lo Presti è stato arrestato dai carabinieri nel dicembre del 2011 e cioè dopo il ritrovamento del cadavere di Romano. I militari del Nucleo investigativo avevano tenuto per mesi sotto controllo con le telecamere anche il box di via della Rovere. Nelle immagini che servirono per fare scattare il blitz non si vedeva alcun particolare o movimento strano che potesse fare ipotizzare che in quel posto fosse stato condotto Romano. Per non lasciare nulla al caso, i carabinieri hanno analizzato di nuovo le lunghe sequenze dei filmati.
Ora arriva la conferma dagli accertamenti eseguiti dalla polizia con la tecnica del luminol. Si tratta di una sostanza che viene nebulizzata per rilevare la presenza di tracce di sangue. Tecnicamente nella stalla sono stati riscontrati quelli che vengono definiti “falsi positivi”. Le macchie c’erano, ma non erano di sostanze ematiche. E dunque alle indagini sull’omicidio di Davide Romano non può essere aggiunto il tassello della stanza delle torture.
L’inchiesta prosegue. L’ipotesi principale è che il giovane picciotto del Borgo Vecchio sia stato ammazzato perché, una volta uscito dal carcere, avrebbe tentato di “allargarsi”. Forse gli affari della droga, per i quali era stato arrestato, non gli bastavano più. La sua ascesa è stata frenata bruscamente. La sua corsa è finita nel portabagagli di una Uno bianca parcheggiata in via Michele Titone, nella zona di corso Calatafimi.
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13 Settembre 2012, 13:18