06 Novembre 2019, 20:24
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Che l’opposizione si sarebbe opposta non era un segreto. Come non è un segreto che una legge si approva a maggioranza. Una maggioranza sfilacciata, debole e anche con parecchi assenti, quella a sostegno del governo Musumeci. E anche questo non è un segreto, visto che è rinvenibile nel documento che certifica la bocciatura del primo articolo sulla riforma dei rifiuti. Una riforma “esplosa” all’Ars prima ancora che si potesse entrare nel vivo dei suoi contenuti.
Ma il problema, qui, viene ancora prima di ciò che contiene la legge. Della sua bontà o dei suoi difetti. Il problema non è tecnico, ma è politico. Ed è così ricorrente da non essere più un segreto, nemmeno questo. “Senza maggioranza non si può governare” ha ammonito il capogruppo del Pd Giuseppe Lupo. Una annotazione ovvia quanto necessaria, oggi.
Il voto segreto può piacere o meno. E può piacere anche a fasi alterne. Visto che qualche autorevole esponente della maggioranza, che oggi punta il dito contro “l’anonimato” di Sala d’Ercole, quello strumento lo ha utilizzato in passato, quando era all’opposizione. È il normale, ovvio gioco delle parti. E c’è già chi punta all’abolizione del voto segreto che è, comunque la si guardi, uno strumento utile pure a garantire – al netto di chi lo usa per giochetti di convenienza – la libertà di dissentire a chi teme conseguenze politiche per una scelta difforme da quella della propria fazione. Una abolizione del voto segreto che sarebbe, poi, un doppio autogol: sia perché chi oggi lo propone domani potrebbe maledire questa scelta. Sia perché, numeri alla mano di questi tempi c’è il rischio tragicomico che anche l’abolizione del voto segreto venga bocciata col voto segreto.
Il governatore, però, se punta il dito contro l’opposizione scivola in un errore di grammatica parlamentare. L’esito del voto segreto non è un problema delle opposizioni. Che il Pd fosse contrario a questa norma, ad esempio, non era un segreto. “La riforma dei rifiuti proposta dal governo regionale è gattopardesca, finge di cambiare tutto per non cambiare nulla” è stata la posizione espressa dal gruppo parlamentare del Pd all’Ars appena otto giorni fa. “In Aula manifesteremo la nostra ferma opposizione ad un disegno di legge che non produrrà alcun risultato positivo per la Sicilia” avevano avvisato i deputati del Movimento 5 Stelle lo stesso giorno. E apertamente contrario si era detto lo stesso Claudio Fava nelle medesime ore puntando il dito contro gli emendamenti del governo nei confronti della sua stessa riforma. Così, quando il governatore invita i deputati di opposizione a “mostrare coraggio”, a “metterci la faccia”, sbaglia evidentemente indirizzo. Lo hanno già fatto, a torto o a ragione, dichiarandosi contrari a questa legge. Il voto, segreto o palese che fosse, avrebbe avuto lo stesso esito per quanto riguarda la minoranza.
E così, si torna al punto di partenza. Il voto segreto è efficace solo se i numeri non ci sono o se nel numero dei votanti entra qualche franco tiratore. Ed è avvenuto, anche questa volta. A riprova che la cosiddetta maggioranza di Musumeci non esiste. E non per un fatto numerico, ma per un fatto squisitamente politico. Il ko sulla riforma rifiuti è solo l’ultimo caso in due anni. Casi che sarebbero stati assai più numerosi, se l’attività legislativa fosse andata oltre la misera produzione, in termini di riforme, di questa legislatura.
Cinque, sei deputati della maggioranza non c’erano nemmeno, in aula. Per l’esame di una legge che il governo aveva chiaramente indicato come una priorità assoluta, una bandiera. E per carità, ciascuno avrà avuto le proprie legittime ragioni. In qualche caso anche serie, pare. Ma che c’entra l’opposizione? Doveva essere l’opposizione a garantire al governo i numeri che non aveva? Doveva essere l’opposizione a convincersi della bontà di una legge già apertamente bocciata?
Perché il punto è questo. E lo abbiamo scritto già in passato. Questa formula non funziona. Questa coalizione ha le gambe fragili. È buona solo nella vita ordinaria degli assessorati, nell’attività amministrativa, nelle giunte in cui si approvano finanziamenti per fiere, corse e mostre. Una coalizione che si muove solo a ranghi sciolti, tra le pieghe dei sottogoverni, tra le piccole (ormai) possibilità offerte dal potere, tra consulenze e incarichi.
Per il resto, questa coalizione è impalpabile, inefficace. E il governo ne è soltanto uno specchio, un riflesso. Come è stato chiaro oggi, in Aula. Prima ancora del merito, prima ancora dei dubbi sollevati sui debiti degli ex Ato e sul resto della governance. Prima ancora di entrarci, in questa riforma, il governo doveva assicurarsi di avere le carte in regola, in aula, per vararla. Non è successo. I numeri non ci sono. E l’opposizione si è opposta. E non era un segreto né l’una, né l’altra cosa.
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06 Novembre 2019, 20:24