Loris sepolto, Veronica in cella | Le croci del calvario di Davide

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07 Gennaio 2015, 11:17

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PALERMO – La visita con cui Davide Stival ha spezzato l’isolamento carcerario della moglie Veronica Panarello – accusata di avere ucciso Loris, figlio di entrambi – è la cronaca più autentica del coraggio che la disperazione riesce a dare. Davide non depone nemmeno uno dei pesi che lo schiacciano: questo ci ha detto col suo pellegrinaggio. Li sopporterà tutti, per amore.

Quest’uomo schivo ha dovuto già affrontare molto del dolore più crudele della sua vita.
E’ rimasto, per quanto ha potuto, ai margini della grande fiction nera costruita, in forma di rotocalco, sul delitto di Santa Croce Camerina. Ha evitato le luci del luna park mediatico, tentando in ogni occasione di difendere la sua famiglia distrutta.

In un’antica intervista al ‘Corriere della Sera’ ha lasciato perfino trasparire un frammento di tenerezza, nonostante gli indizi pesantissimi, parlando dei dieci anni trascorsi accanto alla donna di cui si era innamorato: “Era bravissima in casa: a noi tutti, a me e ai due bambini, non ci ha mai fatto mancare niente”.
Ha atteso il responso del tribunale del Riesame, Davide Stival. Quando i giudici di Catania, al termine di una lunga riflessione, hanno sigillato Veronica tra le mura della prigione di Petrusa, respingendo l’istanza di scarcerazione, si è spinto fino in cella, per incontrarla.

C’è un coraggio disperato e sovrumano nel cammino di chi porta sulle spalle il macigno di un tale lutto e i corpi di due martiri, la croce raddoppiata del calvario.
Il primo martire è Loris, il bambino di otto anni, strangolato e gettato in un canalone. Claudio Maggioni, il Gip di Ragusa, ha descritto la dinamica dell’orrore nella convalida del fermo della madre: “Evidente volontà di volere infliggere alla vittima sofferenze, un’azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e prima del più elementare senso d’umana pietà”.
L’ultimo giudizio sulla colpevolezza di Veronica deve essere ancora scolpito, ma dalle carte emerge l’indicibile grado di sofferenza riservato all’innocente Loris. Sulle spalle del padre c’è dunque il peso di un distacco innaturale, aggravato dalle modalità del delitto e dalla responsabilità presunta. Non solo morto: forse assassinato dalla persona per cui “i figli erano in cima a tutto”.

Il secondo martire è Veronica, quale che sia la verità. Se è stata lei ad uccidere, è certamente carnefice ma al tempo stesso martire della sua follia, del suo istinto capovolto. Se mai una sentenza definitiva dovesse accertare la sua estraneità ai fatti, Veronica Panarello è già martire della follia degli altri, delle ulcerazioni di una accusa ingiusta, vittima e sputacchiera dei telespettatori da rotocalco, dei clienti del luna park. Sulle spalle del marito, intanto, grava il peso del legame di un tempo divorato dal sospetto. “Questo incontro – ha detto Daniele Scrofani, l’avvocato di Davide Stival – il mio assistito lo voleva da un po’, ma ha aspettato finora, anche alla luce della decisione del Tribunale del riesame. La sua posizione, però, non cambia: allo stato degli atti, per lui, le immagini parlano chiaro e quindi crede di più alla Procura che a lei”.

Eppure, non pare che sia soltanto così. Quale padre, nell’auletta dei colloqui di un penitenziario, guarderebbe negli occhi una donna, se fosse assolutamente convinto della sua colpa di madre assassina, oltre tutti i dubbi? In qualche punto estremo, nonostante il distacco che trapela dal colloquio, la speranza più assurda di Davide Stival può ancora coincidere col grido di Veronica Panarello, con quel “sono innocente”, urlato a dispetto di giudici e tribunali?

Nella disperazione e nelle sue contraddizioni, si legge il coraggio di un uomo schivo che ha scelto il pellegrinaggio in carcere per dirci che lui non lascia niente per strada, che non depone i pesi caricati sulle sue spalle dall’amore e dalle mani di un assassinio. Non dimenticherà il corpo di Loris, separato dalle carezze della sua età, sepolto nel cimitero di Santa Croce Camerina. Non ha abbandonato Veronica, reclusa in una cella di Agrigento, spezzando il suo isolamento.
Davide non dimenticherà nessuno. Il suo calvario, la sua strada coronata di spine, è fatto di due croci.

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07 Gennaio 2015, 11:17

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