Loro litigano e la Sicilia affonda - Live Sicilia

Loro litigano e la Sicilia affonda

Pil a picco, disoccupazione alle stelle e imprese in difficoltà. Ma mentre l'economia cola a fondo, la Regione è bloccata dalle liti interne alla maggioranza di Crocetta. Che, come l'orchestrina del Titanic, di fronte al disastro è impegnata a fare altro.

I numeri del disastro siciliano
di
5 min di lettura

PALERMO – Mentre la maggioranza litiga, la Sicilia affonda. Con un calo che va oltre le non rosee previsioni fatte quando la crisi era già iniziata e con una disoccupazione che fra i più giovani supera il 50%. Eccoli, i numeri del disastro chiamato Sicilia: sono certificati nero su bianco da tutti gli osservatori e gli analisti, che si chiamino Banca d’Italia o UnionCamere, Fondazione Res o Regione Siciliana, e dipingono una regione in profondo rosso in quasi tutti i settori, sull’orlo del baratro e senza una strategia per uscirne. Con un giudizio di fondo: se l’economia va male, non è solo colpa della crisi.

Peggio delle peggiori previsioni
A fornire il dato più allarmante è la Regione stessa. È una tabellina nel mare di dati che l’assessore regionale all’Economia Luca Bianchi e il presidente della Regione Rosario Crocetta hanno fatto confluire nella Relazione sulla situazione economica della Sicilia presentata all’Ars in estate: il grafico mette a confronto la situazione reale, aggiornata al 28 giugno 2013, con le previsioni fatte dal governo regionale nell’ottobre del 2008, quando la crisi era già cominciata, con risultati sconfortanti. Rispetto alle previsioni del Dpef 2009-2013, il Pil è fermo 18,3 punti percentuali sotto l’obiettivo: sarebbe a dire che per ogni euro di ricchezza che secondo le previsioni avremmo dovuto produrre, in realtà nelle nostre tasche ci sono meno di 82 centesimi. Un tracollo che la Sicilia ha subìto più del resto del Paese: a livello nazionale, infatti, il divario fra previsioni e situazione reale è del 14%. “Il nostro – spiega Giovanni Catalano, direttore di Confindustria Sicilia – non è un calo dovuto semplicemente alla recessione che ha colpito l’Europa. Da noi si aggiunge un calo strutturale dovuto alle cattive politiche economiche degli anni passati”.
Eccolo, il nodo: “In momenti come questo – aggiunge Fabio Mazzola, preside della facoltà di Economia dell’università di Palermo – la tendenza dell’economia veniva controbilanciata dall’azione politica. Oggi, fra equilibri di bilancio e motivi politici, con maggioranze ballerine e decisioni che tardano ad arrivare, questa azione di contrasto non c’è”. I risultati sono evidenti: nell’ultimo anno, stando alle stime della Regione stessa, il Pil si è contratto del 2,5%, con un calo più marcato nel settore dell’industria in senso stretto (-4,2%, secondo la relazione sull’economia della Sicilia presentata da Bankitalia a giugno) e delle costruzioni (-7,6%, ancora secondo Bankitalia). In controtendenza l’agricoltura, che con il +2,5% registrato dalla relazione della Regione segna una timida inversione di tendenza. “L’agricoltura e l’agroindustria – annota Pier Francesco Asso, vicepresidente della Fondazione Res – sono i settori che stanno dando segnali interessanti. Stiamo conquistando, con fatica, mercati emergenti. Ma dobbiamo fare di più. Anche perché l’export non può rimanere solo ancorato agli idrocarburi”.

Prendi i soldi e scappa
Perché, in realtà, l’export non va male. Nel 2012 – osserva la Banca d’Italia – “le esportazioni di merci della regione sono aumentate, a prezzi correnti, del 21,2 per cento, mantenendo un andamento positivo in corso d’anno e più vivace nell’ultimo trimestre”. Ma non è tutt’oro quello che luccica: “Il nostro export – chiarisce Catalano – si basa prevalentemente sugli idrocarburi. Ma questo settore, a regime, registrerà una fase di crisi”. Non è un caso che appena qualche ora fa Erg abbia annunciato l’addio definitivo alla raffineria di Priolo: “Senza entrare nel merito del caso specifico – dice Asso – il rischio che i grandi gruppi tendano ad abbandonare la Sicilia è altissimo. E noi, che abbiamo un’economia molto dipendente dalle grandi imprese, siamo più fragili: lo hanno dimostrato i casi di Termini Imerese o di StMicroelectronics. Un cambiamento di politica aziendale fa sparire pezzi interi del tessuto produttivo siciliano”.
Che fare, quindi? “La scommessa – propone Asso – è puntare sulla maggiore qualità e non sul minor prezzo. Abbiamo grandi esempi di innovazione, soprattutto nel settore agricolo, ma fatichiamo a favorire i contatti fra il mondo dell’imprenditoria e il mondo della ricerca. Il segreto, invece, è stimolare l’innovazione”. “Quel che serve adesso – prosegue Catalano – è una strategia di medio-lungo periodo, ma in Sicilia non ce l’abbiamo. Parliamo tanto di attrazione degli investimenti, ma poi cosa facciamo? Servono infrastrutture, serve l’efficienza della pubblica amministrazione, manca una chiara politica per lo sviluppo”.

Mi licenzi? Mi faccio l’impresa
Il Pil o l’export, ovviamente, si traducono in vita quotidiana. Nel più drammatico dei dati: secondo la relazione della Regione, nel 2012 le ore di cassa integrazione sono aumentate del 37,8 per cento rispetto all’anno precedente, con un ricorso sempre più massiccio fra gli impiegati (+66,5%), e la disoccupazione, secondo Bankitalia, ha raggiunto il 18,6%, con picchi negativi fra le donne (20,6%) e nella fascia d’età 15-24 anni (51,3%).
L’altra faccia della medaglia, addirittura sorprendente, è rappresentata però dalle imprese. Secondo i dati di Movimprese, elaborati da UnionCamere Sicilia, fra aprile e giugno del 2013 hanno chiuso i battenti 6.065 aziende, ma ne sono nate 7.913. Il saldo, quindi, è positivo. “Il dato – assicura Catalano – è comune a tutto il Mezzogiorno. Siccome le imprese hanno ridotto gli investimenti e l’offerta di lavoro non c’è, i nostri giovani tentano di costruire qualcosa”. Però, ovviamente, c’è una controindicazione: “Il problema – ammonisce Mazzola – è la durata dell’impresa che nasce. Può essere un inizio di inversione di tendenza, ma bisogna capire se si tratta di autoimprenditorialità strutturata o di tentativi con vita breve”. La risposta, scoraggiante, Catalano ce l’ha: “Molte di queste aziende – taglia corto – durano molto poco”.

Arrivano i turisti
Il dato che invece è certamente positivo riguarda il turismo. Perché se i consumi sono in calo e l’export non basta a compensare il crollo della domanda interna, almeno arrivano i turisti: nel 2012, secondo l’Osservatorio turistico della Regione, l’aumento è stato del 2,8%. Con un dato singolare: i turisti italiani in arrivo in Sicilia sono diminuiti dell’1,4%, mentre gli stranieri sono aumentati del 6,9%. Anche qui, però, arrivano le dolenti note: “La Sicilia – attacca Asso – ha potenzialità enormi, ma non ha una strategia per sfruttarle. Sia sul turismo che sui beni culturali c’è un livello molto elevato di dotazioni, ma non c’è ancora una grossa capacità di metterle a frutto”. Ma l’orchestra, sul Titanic chiamato Sicilia, è impegnata a fare altro.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI