L'ultima lite dell'antimafia | Lettera su Borrometi, duello - Live Sicilia

L’ultima lite dell’antimafia | Lettera su Borrometi, duello

Scambio di fuoco tra il grillino Giarrusso e i commissari dell'Ars che difendono Fava

L’ultima baruffa in casa antimafia si consuma attorno al giornalista Paolo Borrometi. Con una escalation di colpi di scena, veleni e anatemi dalle parti dei moralizzatori. Tutto parte da una lettera, depositata tra le carte della commissione antimafia all’Assemblea regionale siciliana, firmata dai deputati Pippo Gennuso, Luigi Genovese, Gaetano Galvagno, Riccardo Gallo, Tony Rizzotto, Riccardo Savona, Michele Mancuso. La missiva chiede formalmente di indagare sulle vicende che hanno portato all’assegnazione della scorta al giornalista Paolo Borrometi. I firmatari infatti non ci vedono troppo chiaro. L’antimafia ha protocollato la lettera ricevuta e ha deciso di inoltrarla alle tre Procure di Siracusa, Ragusa e Catania. Procedendo come di consueto, si fa notare dalla commissione.

Subito si fa sentire la Cgil, per la quale la lettera “ha dell’incredibile. Sia per la storia di Borrometi e il suo impegno sul fronte della legalità che per la discutibilità della fonte”, dicono il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino e il segretario nazionale Cgil, Giuseppe Massafra. Passano poche ore e arriva il primo colpo di scena. Tre deputati dei sette disconoscono l’iniziativa. Hanno firmato ma non sapevano cosa. Il passo indietro lo fanno Riccardo Gallo, Michele Mancuso e Riccardo Savona, che “a seguito di successiva attenta lettura del documento”, aggiunge la nota, “non condividono affatto contenuti e finalità”.

Nel frattempo, qualcun altro si indigna. A manifestare solidarietà al giornalista sotto scorta è il Movimento 5 Stelle. “L’attività di Borrometi, al quale va ogni nostra solidarietà, è indiscutibile – aggiungono in particolare i componenti M5S della commissione Antimafia, Antonio De Luca e Roberta Schillaci – e siamo fermamente convinti che chi si distingue nella lotta alla mafia non vada mai lasciato solo. Invece sono troppe le storie di chi viene infangato o isolato e non vorremmo si iniziasse così un’azione per seminare dubbi e delegittimare l’opera di Borrometi”.

A sua volta, il giornalista del Ragusano, vicedirettore dell’Agi, ha scritto sui social: “Il mondo al contrario: il deputato condannato che denuncia me!”. Il riferimento è a Giuseppe Gennuso. Il politico ha patteggiato una pena – dunque non è stato tecnicamente condannato – e Borrometi nel ripercorrere le sue vicende giudiziarie chiosa: “Sono disgustato ma contento: per me è una medaglia!”.

Intanto, mentre Borrometi incassa solidarietà dall’associazionismo antimafia e dalle organizzazioni sindacali, il carico però ce lo mette il pentastellato Michele Giarrusso. Che su facebook affronta la faccenda con i suoi consueti toni: “Il vile attacco portato a Paolo Borrometi per mascariarlo, infanga solo chi lo ha architettato. Ancor più grave è la posizione del Presidente della commissione antimafia regionale Fava, che ha subito dato seguito alla lettera di Gennuso, Genovese e soci, chiedendo a tre procure informazioni. Fava però avrebbe dovuto chiedere alle Procure notizie sugli estensori della infame lettera e sicuramente ne avrebbe avute di interessanti. Ne ha invece approfittato per usare il suo ufficio per colpire un valoroso collega”. Così Giarrusso, uno dei fondatori della Fondazione Caponnetto, che evoca anche lo “sconsiderato attacco ad Antoci”, dicendo che Fava “adesso ci ritenta con Borrometi. Si dovrebbe dimettere subito e vergognarsi, ma siamo sicuri che non lo farà. Rimarrà al suo posto come nuovo idolo dei Gennuso, dei Genovese, dei Cuffaro”.

Parole (e non sono le prime del senatore grillino contro Fava) di una durezza tale che la risposta non poteva tardare. Ed è arrivata da sette componenti dell’Antimafia che hanno fatto muro contro quelle che definiscono “fastidiose insinuazioni sul presidente della Commissione Regionale Antimafia Claudio Fava”. Quest’ultimo si è tirato fuori dalla polemica, non replicando. Per la cronaca, nessuna inchiesta è stata aperta dalla commissione sul caso.

I commissari Giorgio Assenza, Rosanna Cannata, Nicola D’Agostino, Gaetano Galvagno, Margherita La Rocca Ruvolo, Luisa Lantieri e Giuseppe Zitelli danno “massima solidarietà a Fava e al lavoro collegiale della commissione”, parlano di affermazioni “ridicole” e a proposito del riferimento al caso Antoci scrivono: “Tuttavia capiamo la difesa d’ufficio ed il riferimento al caso Antoci, inchiesta che è punto di orgoglio di una Commissione che con i casi Montante e per l’appunto Antoci ha evidenziato ambiguità e criticità di un sistema di relazioni che ha negativamente condizionato una fase politica della Sicilia. Evidentemente Giarrusso difende questo stesso sistema, ma è un problema suo”.

Il riferimento è all’indagine condotta dall’Antimafia sull’attentato all’allora presidente del Parco dei Nebrodi. Su cui la commissione ha avanzato dei dubbi, proponendo delle censure all’indagine svolta dagli inquirenti (censure rispedite al mittente) e adombrando l’ipotesi che quanto accaduto sulle montagne del Messinese non fu un attentato mafioso. Quell’inchiesta, così come quella sul caso Montante, ricordano i commissari, aveva acceso i riflettori su un sistema di potere che vedeva alcune presenze ricorrenti in entrambe le vicende, in primis l’ex senatore Beppe Lumia, sul cui ruolo Fava e colleghi hanno posto più di una domanda. Il passaggio sul caso Antoci nelle parole di Giarrusso prima e dei commissari poi riportano proprio da quelle parti, a quella disfida o resa dei conti ancora aperta nel campo dell’antimafia. E nei commenti alla vicenda Borrometi si ritrovano parole non molto dissimili a quelle con cui Giuseppe Antoci commentò l’inchiesta dell’Antimafia: “Non si fa politica giocando con la vita delle persone, dando spunti a delegittimatori e mascariatori. Bisogna essere rigorosi e cauti, ci va di mezzo la sicurezza e la vita della gente”. Solo che stavolta, un’inchiesta non c’è.


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