02 Agosto 2010, 15:19
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Gli voleva strappare le sue parole. Ma si sa, le parole che fanno il verso ai poeti non si possono incidere con le lame. Sono battiti di palpebre, sorrisi rubati al paese, trofei da ricordare prima di dormire. Matteo Galati e suoi tredici anni li voleva per lo meno moltiplicati per due, farne 26, perché a ventisei quella ragazza che tutti cercano come un po’ di fresco, come il seme di pistacchio più bello, l’avrebbe portata dove lei avrebbe sussurrato, un suo sussurro sarebbe stato un ordine, perché tredici anni sono quelli che s’infischiano della politica, quelli dove farsi belli con il gel è un esercizio che richiede ore, rubare gocce di profumo al fratello e radersi quelle prime spighe di barba è una necessità. “Dai, che poi te lo ricompro il tuo profumo!”.
E non importa nulla se si è esagerato, se più che un ragazzo Matteo sembra una distilleria di ciclamini e ibiscus, non è mai abbastanza. Piacere è materia di Narcisi, da fanciulli. E ad agosto, Bronte è una città cosmopolita, non vuole dormire perché la notte di domenica è un tranello per chi ama, bisogna difendersi, la gelosia è la cattiveria di Iago e anche se tredici anni sono pochi si possiede l’audacia dei generali.
Bronte è fatta di insidie, è paese che vive di passione, è uno scalo di ricchezza, ma è anche un paese che ha il piombo e il ferro facile dove neppure la carta d’identità è un deterrente alla violenza e i conti si regolano a giorni fissi – ci sono stati mesi in cui di mercoledì sembrava di girare i film di Tarantino e qualsiasi giornalista poteva scrivere un capitolo di Gomorra- i ragazzi soldatini di latta che si sciolgono nel fuoco. Ma agosto per lo meno è la tregua del tempo, è la canicola che fa ciondolare le braccia e godersi il fresco dei vicoli, budelli dove le case sembrano dammusi e le pietre delle abitazioni il tufo di Matera. Anche ad agosto ci vuole coraggio per morire ed un verso di un cantautore non restituisce Matteo-Piero, va bene la guerra, ma le donne non sono linee da conquistare con le armi e con la forza, sono la loro antitesi. Una donna è un palio di belle maniere, è il pastello azzurro delle tele e non può essere inquinato da scariche di violenza, da duelli a colpi di coltelli.
Matteo Galati muore a tredici anni pugnalato da un ragazzo di sedici come se fosse un adultero dei delitti d’onore, come Prometeo che voleva rubare il fuoco e invece voleva solo corteggiare la vampa innocente dei baci o delle mani sulle gambe di quella ragazza che aveva capelli che sembravano trine di miele al vento. Senza la musica di Pierluigi da Palestrina che è la via in cui ieri notte si sono portati via dal suo addome la vendemmia della giovinezza che non sarà più.
Insieme a lui pure il suo amico rimane ferito alle mani; quell’amico che gli è rimasto vicino perché da sempre l’amore ha bisogno di confidenti, di aiutanti, di vassalli a cui confidarsi. Quando si è innamorati si vuole il bene anche degli amici, si vuole essere una compagnia di innamorati in giro per i mari. Le prime avvisaglie dell’amore sono belle per questo, sono ancora vetri limpidi non scheggiati dall’esperienza, sembra che quello che accade debba durare come protetta da una campana di vetro.
“Su quella guancia, sopra quella fronte/Così dolci, serene ma eloquenti/ i sorrisi avvincenti, i colori accesi/ Parlano di giorni volti al bene/ Di un animo che qui con tutto è in pace…” E invece non sono giorni volti al bene questi ma selvaggi. Matteo rimane come l’ennesimo panno macchiato a Bronte. Ancora poco, quanto bastava per avere quattordici anni, per sentirsi adulti e vedere la strada dietro la visiera di un casco: e le mani di lei che ti stringono alla vita, la carezza sul tuo addome. Questa era la pace dell’amore.
Matteo, invece, rimane il seme che non sboccia. Troppo tenero per sopportare la stagione delle piogge.
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02 Agosto 2010, 15:19