L’ultimo gioco pericoloso: | Una olimpiade fra rifiuti e frane

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15 Ottobre 2009, 13:59

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(di Gian Antonio Stella – dal Corriere della Sera) Mancano ancora Ma­tera, Campobasso, Savona, Carugate, Cerveteri, Ciriè e qualche altra ma la lista delle città italiane che vogliono le Olimpiadi 2020 si allunga in modo significativo. Dopo Venezia e Roma si sono infatti aggiunte ufficialmente, in attesa di nuove ed estrose candidature, Palermo e Bari. E a questo punto non c’è più dubbio: magari il Cio non assegnerà i Giochi a nessuna delle nostre brave concorrenti, ma sul podio ci andiamo di sicuro: quello del ridicolo.

A premere per la candidatura di Chicago alle Olimpiadi 2016 volò a Copenaghen, inutilmente, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Quale credibilità può avere un Paese dove una cosa seria come la candidatura ai Giochi, affare costosissimo che richiede un immenso sforzo finanziario, viene annunciata in Sicilia dall’assessore regionale al turismo (col sindaco Diego Cammarata offeso: «Potevate almeno dirmelo…») e in Puglia dall’assessore comunale allo sport? Cos’è: un gioco a chi mette per primo il cappello sulla sedia? Una manovra per dare vita a un comitato di studio (poltrone) e poi a un comitato promotore (altre poltrone) e poi a una struttura operativa progettuale (altre poltrone) e via così di prebenda in prebenda? «Come ultimo tedoforo a Bari vedrei bene la D’Addario», ha ghignato subito il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni, figurandosi la escort barese in marcia col cero in pugno. Quanto a Palermo, ogni battuta sarebbe di troppo: parlano già i precedenti. Ma sul serio torna a proporsi per questo appuntamento mondiale una città dove allo stadio di «Italia 90» non sono bastati 19 anni anni per demolire come previsto le tribune provvisorie che non avevano l’agibilità? Dove quello di baseball fatto per le Universiadi (che non prevedevano il baseball) non hanno visto una partita? Dove il Velodromo dei Mondiali di Ciclismo cade a pezzi e il palazzo dello sport distrutto da un fortunale non hanno i soldi per rifarlo perché si son dimenticati di chiedere i soldi all’assicurazione con cui avevano una polizza da 95 mila euro?

Il governatore Raffaele Lombardo dice che lui non capisce proprio le perplessità degli scettici: «Non vedo perché non possiamo ambire a ospitare le Olimpiadi». Cos’avrà mai la città di santa Rosalia meno di Sydney, Londra o di Pechino? Ciò che gli dà più fastidio, dice, «è l’atteggiamento razzista di Galan, che avevamo avuto modo di notare già in occasione della polemica su Baaria». Il suo assessore al turismo e allo sport, Nino «Mortadella» Strano, noto agli italiani perché il giorno della caduta di Prodi si riempì la bocca al Senato di fette di «Bologna» col pistacchio, è ancora più rassicurante: «Quando ho letto che si erano già candidate sia Venezia che Roma ho ritenuto doverosa una proposta formulata dal Sud. E quale migliore città di Palermo per ospitare le olimpiadi?». Il passato? Iiiiih, stavolta sarà diverso: «Siamo in grado di mettere in moto una macchina ciclopica». Ciclopica. E le ferrovie ottocentesche che viaggiano ancora coi tempi delle «littorine»? Gli acquedotti che perdono acqua e obbligano decine di migliaia di cittadini a rifornirsi con le autobotti? Le autostrade mai finite da decenni come la Catania-Siracusa? Le colline che franano al primo acquazzone portandosi via le case e le persone? Le aree industriali cosparse di cadaveri di edifici diroccati che non vengono rimossi? La spazzatura che invade le strade palermitane come quando Goethe scriveva che i bottegai buttavano tutto in mezzo alla via col risultato che essa «diventa sempre più sudicia e finisce col restituirvi, a ogni soffio di vento, il sudiciume che vi avete accumulato»? E la manutenzione quotidiana dell’esistente? Non ci vorrebbe lì, l’impegno ciclopico? Guai a dirlo.

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L’accusa è automatica: disfattisti, leghisti, anti-meridionalisti! Eppure sono palermitani quelli che ieri hanno riso per primi. Palermitano è l’editore Enzo Sellerio: «E i promotori chi sono, Andersen e i fratelli Grimm?». Palermitano l’attore Pino Caruso: «Allora mi candido al Nobel». Palermitano il giornalista Enrico Del Mercato che su La Repubblica siciliana ha chiesto dove mai credono, gli autori della pensata, di poter trovare i soldi se Atene per i suoi Giochi ha speso 12 miliardi di dollari e Pechino 40,9 e dove credono di mettere la gente se in tutta la provincia ci sono 25.787 posti letto e cioè troppo pochi (anche a lasciare a casa gli spettatori e gli accompagnatori e tutti gli altri) perfino per i soli atleti e i cronisti, che a Pechino furono rispettivamente 11 mila e 21 mila. Conosciamo l’obiezione: ma le Olimpiadi sarebbero proprio l’occasione per fare le cose! La «data catenaccio» per il grande riscatto! Esattamente quello che è stato detto le altre volte. E com’è finita? La prima data catenaccio furono i Mondiali 1990. In calendario c’erano tre partite: rifecero lo stadio (30 miliardi preventivati: 50 spesi) con quelle tribune posticce mai più rimosse, costruirono un capannone abusivo (la fretta…) per la sala stampa che nonostante l’impegno ad abbatterlo è ancora lì, pretesero tutte le deroghe possibili sugli appalti per finire in tempo l’aeroporto completato sette anni dopo l’ultima partita. Per non dire del treno da Punta Raisi a Palermo, la cui prima corsa sarebbe avvenuta nel 2001. Cioè quando erano finiti da 11 anni i Mondiali in Italia, da 7 quelli in Usa, da 3 quelli in Francia e stavano per arrivare quelli in Giappone e Corea.

E la seconda data-catenaccio? Per avere un’idea di come organizzare i mondiali di ciclismo del 1994, pensarono di andare a vedere come i norvegesi avessero organizzato i loro. E volarono a Oslo in 120: assessori, deputati, portaborse, mogli, cuochi e i musicisti di una banda folk preceduti via terra da un tir così carico di prodotti siciliani che vennero pagati sei milioni di solo sdoganamento. Perché tutte quelle mogli? «Che dovevamo fare?», si ribellò l’assessore Sebastiano Spoto Puleo, «Poi ci dicevano che siamo i soliti siculi che lasciano a casa i fimmini!». La terza data, quelle delle Universiadi, non fu meno indimenticabile. Non solo per i relitti di impianti sportivi lasciati alle spalle, sui quali avrebbero fatto un’inchiesta dura il settimanale Il Palermo e una relazione micidiale la Corte dei conti, ma per un viaggetto sventato solo all’ultimo istante dalla magistratura.

Questa volta, nella scia della trasferta norvegese, avevano deciso di andare in Giappone, per vedere i mondiali universitari di Fukuoka, in 231. Il solito giro di deputati, funzionari e amici più gli «artisti» per uno show per i nipponici: 30 sbandieratori di Siena, 30 trampolieri emiliani, 30 gondolieri veneziani, 30 Pulcinella napoletani… Tutti all’Hyatt Residence: mezzo milione di lire a testa al giorno. L’assessore al turismo Luciano Ordile spiegò che era il minimo: «Mi dicono che un caffé costa 10 mila lire». E l’ultima data catenaccio? Chi se li dimentica, i campionati militari di Catania del 2003? Dovevano essere ai primi di settembre ma, rinvia oggi e rinvia domani, riuscirono ad aprirli solo a dicembre: «Eh, che sarà mai, a Catania sempre bello è!». Macché: un freddo islandese. Ideale per l’atletica. Risultato: l’unico record mondiale battuto e ineguagliabile fu la gara d’appalto per una serie di costosi servizi di appoggio. La bandirono di venerdì pomeriggio con scadenza alle 12 del martedì e l’obbligo, nonostante il weekend di mezzo, di mandar le offerte per posta. Prodigio: ci fu chi ci riuscì. Una sola società. E chi era uno dei soci? Il figlio dell’allora senatore e assessore comunale Nino Strano. Lo stesso Strano di oggi? Lui. Pensa che strano…

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15 Ottobre 2009, 13:59

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