14 Agosto 2010, 10:04
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“L’uomo cattivo, l’uomo cattivo!”.
Inès si era svegliata calda e ansimante, mentre metteva in fila indiana quelle due parole, che Stefano non riusciva a comprendere.
Si era raggomitolata dall’altro lato del letto, raggirando le spiegazioni:
”E’ stato solo un brutto sogno”, aveva risposto alla domanda assonnata del suo compagno.
Non riuscendo a prendere sonno, insieme alle palpebre, aveva riaperto uno scrigno di pensieri, che pensava di avere seppellito per sempre. E’ disarmante la capacità, che hanno certi dolori, di riemergere in superficie proprio quando hai certificato l’illusione di averli espulsi per sempre dall’anima.
L’uomo cattivo era tornato ed era tale e quale all’ultima volta che si erano incontrati. Con il suo odore acre di Marlboro, camuffato con il dopobarba alla mirra, con i suoi capelli sudati e lunghi, con le mani minuscole e quelle unghia curate, quasi fossero quelle di una donna. Inès aveva tuffato il viso nella federa del cuscino, sperando di respirare l’odore rassicurante di Stefano. Aveva ritrovato, invece, l’alito dell’uomo cattivo. Il profumo dolciastro del suo petto. Lo spessore fuligginoso della sua pelle. Collezioni di lacrime le ripulivano il volto, così come era successo un po’ di anni prima. Inès le ingoiava una a una, masticando i ricordi e quella ferita, che aveva diviso, in due esatte metà, la sua anima ancora innocente.
“Inès sei bellissima, la donna più bella che abbia mai visto”. L’aveva sorpresa così l’uomo cattivo, in una sera qualunque, dentro un locale carico di gente e di luci al neon.
Un brivido di piacere e di imbarazzo aveva attraversato la lunghezza del corpo di Inès. Tremante aveva balbettato un suono infantile e aveva immediatamente abbassato gli occhi. Nei suoi vent’anni, trascorsi da poco, Inès aveva solo intravisto briciole di affetto, caste dimostrazioni di un amore neonato, che le aveva insegnato quel fidanzatino, di cui non si era mai riuscita a innamorare.
L’uomo cattivo odorava di un mondo che Inès non conosceva, che un po’ la affascinava e un po’ la impauriva, facendole ripensare a quei quei tanti “stai attenta” che si dicono ai bambini.
L’uomo cattivo aveva deciso per entrambi fin dal primo momento.
Calcolava la consistenza degli sguardi di Inès e le infliggeva raffiche di sorrisi, che facevano galoppare il suo cuore da ragazzina. A ogni sguardo di quell’uomo, lei si sentiva togliere la pelle di dosso.
Inès era innocente per comprendere la differenza tra il vero bene e il troppo male, che le gironzolava intorno.
Era abituata a scrivere il suo diario, a vedere le commedie romantiche al cinema con papà e ad andare al mare con le amiche dentro un bus strapieno di turisti stranieri.
Il resto era un sogno ancora da fare, nel quale lei, quasi quotidianamente, infilava le sue speranze e quel desiderio di volare lontano.
Poi un giorno l’uomo cattivo l’aveva convinta: “andiamo a prendere un caffè, un gelato o una pizza?”.
Lei si era fatta bella, come mai prima di quel momento, anche se dentro la pancia le brontolava il presagio di fare una cosa proibita, brutta, sporca.
L’uomo cattivo l’aveva trattata come la regina del reame più bello che l’umanità potesse immaginare.
Così il giorno dopo e quello dopo ancora.
Fino a quel sabato di agosto, sotto un cielo che distribuiva, distratto, afa e pioggia.
Con la sua macchina, che sembrava un aeroplano, l’uomo cattivo aveva cambiato direzione.
Si era infilato in una stradina, dove le case parevano tutte abitate da morti.
Da lì era entrato in un cancello scuro e incrostato.
“Non avere paura, siamo a casa mia”.
“Voglio tornare al mare”.
“Scendi su, vediamo un film insieme”. “Voglio andare a casa”.
“Ti ho detto scendi”.
“Ti prego, voglio andare a casa mia”.
“Cretina scendi o ti faccio scendere io”.
Inès piangeva e avrebbe urlato, se solo la paura che l’uomo cattivo le facesse tutto il male del mondo, non le avesse strozzato la voce in gola.
“Puttanella sali su”.
In quelle stanze senza luce, dentro quella stradina piena di fantasmi, Inès aveva lasciato per sempre un pezzo della sua anima.
La stessa che, per anni, era tornata a svegliarla la notte. Le si appoggiava dentro un orecchio e le sussurrava un grido di dolore sottile, ma persistente.
“Vieni a liberarmi Inès, vieni. In questa stanza c’è buio e io potrei soffocare”.
Da lì tornava l’uomo cattivo, con la camminata incerta, ma baldanzosa di chi deve, per forza, dimostrare qualcosa, prima a sè stesso e poi al resto dei viventi.
Con il suo solito ghigno si avvicinava a Inès e le sfiorava il collo con i capelli umidi, quindi con le mani viscide disegnava la mappa del suo corpo da ragazzina. A quel punto Inès si svegliava di botto, tra il sollievo del pericolo scampato e lo sgomento di chi sente l’anima prigioniera.
L’ultima volta che aveva visto l’uomo cattivo era stato in ospedale, poco tempo dopo quel sabato afoso. Un dolore lancinante allo stomaco le aveva fatto credere di morire. Disperata gli aveva inviato un sms, più per farlo sentire in colpa, che per chiamare all’appello la sua pietà.
Lui si era precipitato:
“E’ solo una colica. Meno male, pensavo me l’avessi combinata, occhi di angelo. Good bye, buona vita”.
Inès lo aveva visto uscire dalla corsia e insieme a lui aveva visto andare via una nuvola gonfia di cattiverie tutte ancora da fare. Quell’uomo si era divertito a giocare a calcio con il suo cuore buono. Lei non lo avrebbe mai perdonato. Gli aveva lanciato addosso una raffica di maledizioni mute, per poi voltare, definitivamente, lo sguardo dall’altra parte.
Da allora la vita di Inès è ripresa, a volte singhiozzante, altre simile allo scatto di certi scalatori di una volta. Sono passati settimane, mesi, anni. Inès ha imparato di nuovo a sorridere, è tornata scrivere il suo diario, a vedere le commedie romantiche insieme con il suo papà, ma soprattutto ha preso per mano un amore, che ha tutta l’aria di volere diventare grande.
C’è sempre, però, quel pezzo di anima, priogioniera tra i fantasmi di quella casa, che forse qualcuno ha distrutto. L’anima può addormentarsi per anni, ma quando si sveglia fa il rumore più grande che gli uomini conoscano. Inès lo sa bene e ogni giorno sceglie di addomesticarla, mentre la vita le accarezza le spalle.
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14 Agosto 2010, 10:04