27 Ottobre 2019, 09:49
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Lo conobbi per caso una mattina. Ero con un mio collega, e quest’uomo entrò al bar mentre ci gustavamo un caffè. “Buongiorno avvocato. Niente, ancora niente.” Così disse, rivolto al mio collega. Era un suo cliente. Mi allungò la mano per presentarsi, e cominciò a parlare della strana situazione esistenziale che stava attraversando. Erano già passate quasi due settimane da quando la Cassazione gli aveva confermato la condanna ad una lunga pena detentiva. Otto anni, se non ricordo male.
Già, il mattino successivo alla sentenza della Suprema Corte, si era presentato in un carcere per costituirsi. Ma gli avevano detto che senza un ordine di carcerazione, evidentemente ancora non emesso, non potevano trattenerlo. Certo, se proprio insisteva, avrebbero potuto anche fare qualche telefonata, ma lui, a quel punto, aveva preferito tornarsene a casa ad aspettare. Del resto, l’avvocato glielo aveva detto. “E’ questione di ore, al massimo un giorno o due.”.
Il fatto è che passavano i giorni, e di arrestarlo non se ne parlava. Raccontava che aveva pronta la sua valigetta con gli effetti personali, e che inizialmente trascorreva le sue giornate in casa, in attesa dello squillo del citofono. Aveva qualche difficoltà ad addormentarsi, la notte. “Sto in dormiveglia, e ogni sera, prima di andare a letto, mi domando se devo o no indossare il pigiama”.
Dopo un paio di giorni di inutile attesa, si era concesso una bella botta di vita andando a fare la spesa al supermercato “E’ a due passi da casa. Casomai, mi chiama mia moglie”. Ma prima era andato pure all’ufficio postale, anche quello vicino casa, mettendosi tranquillamente in coda. Prima, prima della Cassazione, invece, se le inventava tutte per scavalcare la fila.
Insomma ci parlava di questa situazione vagamente surreale, di questa vita a metà da aspirante detenuto. Era come se non vedesse l’ora di varcare il cancello del carcere Se non fosse un ossimoro, mi verrebbe da dire che per lui sarebbe stata una liberazione. Ma qualcosa si era inceppato nei meccanismi della Giustizia e lo teneva sulle corde, come in un giochino. Anche un tantino perverso. Fu questo che pensai quando ci raccontò che il giorno prima- era domenica – la moglie voleva fargli la pasta al forno, il suo piatto preferito, ma che lui l’aveva convinta a lasciar perdere. “Metti che suonano appena è pronta?”.
Vi sembrerà strano, ma in quel momento, mi vennero in mente le tante sentenze della Corte Costituzionale, della Cassazione e della CEDU.
Dicono che l’esecuzione della pena deve essere prossima alla definitività della condanna, e che non è accettabile che una pena detentiva che dovrebbe essere eseguita tempestivamente, venga eseguita dopo tempo, soltanto per inerzia degli organi preposti. Si svilisce il significato della pena. Più che giusta punizione, finisce col sembrare vendetta. Insomma, carcere si, “ma col minor sacrificio necessario”.
Questo è scritto nelle sentenze, e quel rifiuto della pasta al forno mi era sembrato un prezzo decisamente alto da pagare, nulla, insomma, che somigliasse al “minor sacrificio necessario”. Curiosa associazione di idee, vero? Sarà perché adoro la pasta al forno.
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27 Ottobre 2019, 09:49