I bar e le aziende del capomafia | Confisca al boss Cesare Lupo

di

09 Gennaio 2019, 05:42

2 min di lettura

PALERMO – C’è pure il “Bar Chiavetta” all’interno dell’ospedale Buccheri La Ferla tra i beni confiscati al boss di Brancaccio Cesare Lupo. Il decreto è stato emesso il 27 dicembre scorso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale.

Completano l’elenco sottoposto a misura patrimoniale la ditta individuale di Benedetta Salerno che gestisce il bar “La Cuccagna dei Mille”, in corso dei Mille; il Bar Ammiraglio di corso dei Mille intestato a Francesco Chiavetta; la Ag Trasporti di corso dei Mille intestata a Giovanni Arduino e la Cs Cooperativa Trasporti e Logistica di via Paratore (le quote sono divise fra Christian Divano, Maria Schillaci, Davide Ricciardi e  Guglielmo Orofino), compresi una trentina di mezzi fra macchine e autocarri; due appartamenti in cortile Chiazzese intestati a Vincenzo Napoli, a cui è intestato anche un negozio in via Pecori Giraldi; un appartamento e un box in via Albricci intestati ad Emanuela Lupo.

A svelare la mappa degli affari di Lupo è stato il cognato, Fabio Tranchina, una volta divenuto collaboratore di giustizia. Lupo sta scontando al carcere duro una condanna definitiva a 28 anni. In cella c’è tornato nel 2011, quando le indagini della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile lo piazzarono assieme ad Antonino Sacco e Giuseppe Faraone nel triumvirato alle dipendenze del capo mandamento Giuseppe Arduino, l’uomo incaricato di gestire il patrimonio dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.

Articoli Correlati

Mentre scontava una prima condanna per mafia nel carcere di Catanzaro, Lupo trovò tempo e voglia di laurearsi in Scienze giuridiche. Titolo della tesi: “Le estorsioni”. Una volta finita di scontare la pena, nel 2009, sarebbe tornato a dirigere il clan. Nel febbraio 2011 Giulio Caporrimo, reggente del mandamento di San Lorenzo, decise di convocare il gotha della mafia palermitana a Villa Pensabene, ristorante-maneggio allo Zen. L’obiettivo era serrare le file di un’organizzazione fiaccata dagli arresti. E Lupo non poteva mancare all’appuntamento.

Una volta si rese protagonista in aula di un episodio insolito per un affiliato a Cosa nostra. Assisteva in silenzio e annotava in un taccuino, collegato in videoconferenza nella saletta del carcere di L’Aquila, le dichiarazioni di Luigi Chiavetta che lo accusava di avergli imposto il pizzo. Lupo chiese di fare dichiarazioni spontanee. Era un fiume in piena. Puntò il dito contro Chiavetta. Erano amici, altro che estorsore ed estorto.

Per questo episodio Lupo è stato assolto. Il collegio delle Misure di prevenzione composto dal presidente Raffaele Malizia, Luigi Petrucci e Giovanni Francolini, ritiene che fra i due ci siano state “cointeressenza commerciali”. I giudici sottolineano che Chiavetta ha presentato una denuncia “solo dopo il sequestro delle attività”. Non c’è solo la caratura mafiosa di Lupo alla base della confisca, ma la sperequazione fra i bassi redditi dichiarati e gli investimenti. I soldi arrivavano dall’attività illecita. La confisca è ancora di primo grado, dunque non definitiva.

Pubblicato il

09 Gennaio 2019, 05:42

Condividi sui social